Cagna: Mini o midi le angurie sono seedless

Per il numero uno della Don Camillo c'è troppa improvvisazione

Cagna: Mini o midi le angurie sono seedless
Secondo le indagini del Monitor Ortofrutta, una innovazione particolarmente gradita dal consumatore italiano è la minianguria, con peso da 1,5 a 2,2 chili. E, oggi, il 56% degli intervistati la compra (nel 2011 era il 34%), perché è comoda da mangiare (38%), pratica da conservare in frigo (32%) o per semplice curiosità.

“All’estero va forte la midi, di pezzatura media tra i 2,2 e 3,5 chili che, peraltro, si conserva molto più a lungo, soprattutto in stagioni come questa, con forti escursioni termiche e pioggia”. E’ il commento a Italiafruit News di Ettore Cagna, presidente dell’Agricola Don Camillo di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, che sulle angurie mini e midi investe circa 150 ettari, da Nord a Sud Italia.

“Abbiamo iniziato la stagione il 20 aprile con il prodotto siciliano – continua Cagna – poi siamo passati al Centro, ora stiamo staccando i frutti veronesi sotto serra in attesa del pieno campo e della zona mantovana. Per ora siamo ancora in fase di test, ma dal prossimo anno partiremo con un programma più dettagliato, a favore di una o dell’altra tipologia”.


L'intervento di Ettore Cagna al laboratorio di Think Fresh dedicato alla frutta fresca

“Quel che è certo è che nei prossimi due-tre anni abbandoneremo completamente le angurie con seme a favore delle seedless. Tra le mini senza semi, noi puntiamo sulle varietà a buccia verde chiaro brillante. Le ultime arrivate come genetica, infatti, garantiscono un grado brix superiore a 14”.

Il mercato interno è pesante ma non solo per il bizzarro andamento climatico. “Il sistema soffre soprattutto la mancata pianificazione – conclude Cagna – Le mini angurie sono un prodotto giusto per noi melonai che possiamo sfruttare linee di lavorazione, lucidatura e confezionamento adatte a questi calibri, ma numerose aziende non specializzate stanno immettendo sul mercato prodotto che, inevitabilmente, disturba scambi e quotazioni. Molte, poi, lavorano senza una propria produzione e tracciabilità, approvvigionandosi giornalmente senza programmazione, né varietale né commerciale. All’estero per fortuna va meglio, ma la cultura, di chi vende e di chi acquista, è totalmente differente”.

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