Sharka del pesco, «con gli Ogm possiamo combatterla»

Turroni (New Plant): c'è bisogno del supporto istituzionale

Sharka del pesco, «con gli Ogm possiamo combatterla»
Partecipando come relatore all'evento di aggiornamento sul progetto Maspes, Piero Turroni, presidente di New Plant - società che si occupa di innovazione varietale costituita dalle tre Op Apofruit, Apo Conerpo e Orogel Fresco, ndr - ha spiegato che il primo problema di chi si appresta a impiantare nuovi pescheti è la sensibilità delle varietà alla Sharka. In molti territori, infatti, le piante di pesco sane si ammalano nel giro di due o tre anni. Questo aspetto limita gli investimenti nel comparto. E la situazione è talmente pesante che il settore della ricerca, con il sostegno pubblico, dovrebbe valutare anche strade che, fino a pochi anni fa, potevano essere difficili da accettare, come l'utilizzo degli Ogm e delle New breeding technologies (NBTs), al fine di velocizzare il processo di sviluppo di varietà resistenti.

Presidente, negli ultimi anni la "situazione" Sharka è peggiorata?
Sì, il nuovo ceppo M (marcus), particolarmente virulento e aggressivo su pesco, continua a diffondersi in maniera epidemica in tutta Italia, in particolare nelle maggiori aree di coltivazione delle drupacee. Le regioni più interessate sono il Veneto e l'Emilia-Romagna, zone storiche di produzione che presentano una maglia poderale ridotta, vale a dire appezzamenti molto vicini fra loro. Ciò significa che un frutticoltore può adottare tutti i mezzi di prevenzione del caso (utilizzo di materiale vivaistico certificato esente da virus e monitoraggio scrupoloso dei campi, per la tempestiva individuazione ed eradicazione dei focolai), ma se il suo vicino non fa altrettanto, la Sharka attraversa sempre, e facilmente, il confine. Altre aree in cui il virus è fortemente distribuito sono il Metapontino e la Piana del Sele, mentre la diffusione dell'infezione è ancora limitata nelle zone del Foggiano, del Barese e in Sicilia.

Nel nostro Paese, la riduzione delle superfici coltivate a pesche è ormai una costante da diverse stagioni. La Sharka, su questa tendenza, incide di più o di meno rispetto ai risultati commerciali negativi delle ultime annate?
Pesa di meno. Le performance commerciali sono più importanti perchè con questo virus si può anche convivere. Certo è che se la Plv media di un impianto passasse dagli attuali 10mila euro a 20mila euro per ettaro, i peschicoltori potrebbero conviverci con un po' più di passione. Non dobbiamo ovviamente dimenticare che la Sharka minaccia la reddittività di tutti i produttori di frutta a nocciolo (ciliegio, albicocco, susino, mandorlo, ecc.), e non solo di pesco. Basta una sola puntura d'assaggio da parte degli afidi vettori per trasmettere l'infezione. E' un problema mondiale di difficile soluzione.

I coltivatori di pesche avrebbero quindi bisogno di varietà resistenti. Ma quando la ricerca potrà arrivare a questo risultato?
I tempi sono lunghi. Con il miglioramento genetico tradizionale servirebbero almeno 30-40 anni per selezionare nuove varietà resistenti. Ma questo periodo potrebbe ridursi in maniera sensibile utilizzando tecnologie di biologia molecolare (Ogm e NBTs) per introdurre la resistenza alla Sharka nel pesco. Nell'albicocco, infatti, sono già stati identificati dei geni di resistenza e i programmi di miglioramento genetico, come il Maspes, possono usare i marcatori genici per introdurre in maniera più efficiente la resistenza a Sharka nelle nuove selezioni. Va poi considerato che anche partendo dagli Ogm, rimangono alcune difficoltà tecniche, quali ad esempio la rigenerazione della pianta da un callo, un'operazione non semplice da fare sul pesco. Una strada più veloce, seppur non risolutiva, potrebbe riguardare l'applicazione di RNAi per il contenimento del virus in pianta. Si tratta di una via che prevede l'estrazione di RNAi (da organismi Ogm), che poi vengono impiegati direttamente sulla pianta. Le prime esperienze scientifiche hanno mostrato risultati incoraggianti sull'utilizzo di questa tecnica contro i virus in piante. Speriamo quindi che le istituzioni italiane possano supportare e finanziare queste ricerche.

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