Senza semi e dal sapore moscato, ecco l'uva del futuro

Ma l'Italia deve fare i conti con i Paesi emergenti: il nodo della competitività

Senza semi e dal sapore moscato, ecco l'uva del futuro
Senza semi e dal sapore moscato. Questi i tratti distintivi dell'uva del futuro. Un'uva che, come è emerso dai lavori del Table Grape Meeting che si è svolto venerdì scorso al Macfrut, deve presentare una qualità costante e "saper viaggiare". Uva formato export dunque, ma per i produttori italiani anche un'offerta che possa essere competitiva con le sfide del mercato. Come ha ricordato Carlo Lingua, infatti, ci sono Paesi emergenti che si sono affacciati nella produzione di uva da tavola: Serbia, Macedonia, Bulgaria, Marocco e Turchia solo per fare alcuni esempi vicini all'Italia. Paesi dove si "sperimenta" a colpi di centinaia di ettari di nuovi impianti, con aziende pronte a investire e costi di produzione nettamente inferiori a quelli italiani. "Se la Grande distribuzione non è legata all'origine del prodotto - ammonito l'amministratore delegato di Rk Growers e di Avi, agente unico europeo per le uve Arra™ - ma guarda unicamente alle varietà e al grado Brix, queste nuove realtà faranno una dura concorrenza. Anche perché non avendo mai prodotto uva da tavola, questi produttori sono molto più facilitati ad ascoltare e applicare le nuove tecniche per le apirene.  Per avere un prodotto di qualità, è necessario che i produttori rispettino i protocolli di produzione proposti dai breeder, cosa che in Italia a volte non succede. Qualità e quantità non vanno sempre d'accordo. Per il futuro pensiamo che le varietà The Muscateers, quelle dal sapore moscato, possano essere molto interessanti. E poi servono progetti sostenibili ed etici".



Giacomo Suglia
, presidente di Apeo, Associazione di produttori ed esportatori per la tutela dell’uva da tavola della regione Puglia, regione che rappresenta il 75% delle superfici coltivate in Italia, ha sostenuto che “per far fronte a un mercato sempre più globalizzato, abbiamo bisogno di produzioni competitive, ottima qualità e ottima resa. Chiediamo al mondo scientifico non solo nuove varietà, ma anche tecniche di produzione che ci consentono di avere qualità a costi contenuti”.

Carlo Fideghelli ha portato l’esperienza della Rete Ivc, Italian Variety Club, che riunisce 20 imprese agricole, lo spin-off Sinagri e il Centro di Ricerca “Basile Caramia” di Locorotondo. Fideghelli ha raccontato le principali direttrici su cui si muove l’innovazione varietale: “Si cercano varietà totalmente apirene, senza alcun residuo di seme – ha spiegato – E' stato inoltre avviato un programma di miglioramento genetico per la resistenza alle crittogame come oidio e peronospera. A livello di gusto è sempre più ricercato il sapore moscato, particolarmente apprezzato dai consumatori”.

Anche Maurizio Ventura, licensing manager Europe per SunWorld International ha identificato importanti trend varietali per l’Italia e i Paesi del Mediterraneo: “Le caratteristiche che attualmente ricerchiamo sono alta produttività, bassi costi di produzione e un sapore gradevole”. Ventura ha inoltre spiegato come SunWorld fornisca supporto tecnico agli agricoltori, con linee guida che vengono adattate alle diverse aree di produzione.

Un progetto di innovazione varietale tutto italiano è quello del gruppo Grape and Grape. “Esiste un’offerta molto estesa per le uve apirene, ma in Italia la coltivazione raggiunge solo il 30% - ha detto Alberto Mastrangelo, responsabile commerciale del gruppo - La realtà italiana è dominata da piccoli produttori e questo porta a una polverizzazione dell’offerta e un assortimento non continuativo che penalizza la fidelizzazione del consumatore verso una specifica varietà”.

“La distintività può essere uno degli elementi che ci portano a far fronte allo scenario attuale - ha proseguito Mastrangelo - Per questo offriamo la possibilità di avere un pacchetto varietale che valorizzi le specificità dell’area di coltivazione e sviluppi un legame tra varietà e territorio”.



Un esempio di produzione territoriale è venuto da Gianni Raniolo, presidente del Consorzio Uva da Tavola Mazzarone Igp. “Il nostro progetto nasce dall’esigenza dei produttori di muoversi insieme, perché la competizione avviene sul mercato globale – ha spiegato Raniolo – Nel 2018 abbiamo superato i 3 milioni di chili di produzione e siamo presenti nelle principali catene italiane”.

Dal punto di vista varietale, ha aggiunto Raniolo, “siamo molto legati all’uva Italia, che ci ha fatto conoscere nel mondo e porta i valori della tradizione. Allo stesso tempo dobbiamo fare i conti con le uve senza semi e con logiche commerciali delle varietà brevettate che rischiano di penalizzare i produttori”.

Alla prima sessione è seguita la tavola rotonda, che ha visto speaker internazionali confrontarsi con tre tematiche, innovazione varietale, uve senza semi ed export, presentate alla platea attraverso videodichiarazioni dei protagonisti del settore.

Debbie Lombaard, del team commerciale di Richard Hochfeld Ltd, ha portato il punto di vista del mercato del Regno Unito. “Il mercato inglese è quasi interamente senza semi, e predilige frutti dolci e croccanti. Non possiamo vendere uve dalla colorazione gialla perché il consumatore è abituato a quelle verdi – ha spiegato Lombaard – il problema principale è la qualità costante, ci sono ancora molte differenze da un produttore all’altro, per cui è importante che i coltivatori sappiano come gestire queste nuove varietà”.



Anche la Germania ha grande considerazione dell’uva italiana, e ne è il primo importatore. Annabella Donnarumma, amministratore delegato di Eurogroup Italia/Rewe, ha spiegato così l’evoluzione dei consumi nel Paese: “Il 70-75% dell’uva oggi è senza semi, l’uva con semi diventerà sempre di più un prodotto di nicchia, ma dovrà essere di qualità premium. All’interno della Germania le preferenze cambiano: nel Sud si vende un’uva ancora gialla, ma più si va a nord più piace l’uva verde. L’innovazione varietale dovrebbe pensare a uve che pur poco colorate riescano a dare una sensazione di dolcezza”. Donnarumma ha poi parlato di export: “I produttori italiani hanno fatto sacrifici enormi negli anni per accontentarci, si sono evoluti, recependo le esigenze del mercato. Quello che manca è l'aggregazione, uno spirito di cooperativismo vero, per far fronte ai nuovi paesi che si stanno affacciando sul mercato globale mantenendo l’attuale vantaggio”.

Dalla Spagna è arrivato il contributo di Joaquin Gomez Carrasco, presidente dell’associazione di produttori Apoexpa. “Da 20 anni in Spagna abbiamo iniziato la ricerca su nuove varietà, tutte senza semi perché quella con i semi sta sparendo”, ha commentato Carrasco, definendo l’uva senza semi una “quarta gamma naturale”. Parlando di mercati internazionali, Carrasco ha aggiunto: “La grande preoccupazione è che l’aumento della produzione porti a fluttuazioni di prezzo, per cui servono sbocchi su nuovi mercati, ma spesso la crescita è un processo lento. Quindi si tratta di produrre non maggiori quantità, ma migliore qualità, che è la sfida comune a tutti i produttori della zona del Mediterraneo”.

Stefano Borracci, responsabile commerciale di Serroplast, ha portato la sua esperienza di collaborazione con i produttori di uva da tavola cileni. “Per affrontare mercati importanti come quello del Nord America, gli agricoltori hanno sentito l’esigenza di migliorare la qualità attraverso tecniche innovative. Un grande impulso a questa scelta è dato dal cambiamento climatico che ha reso gli eventi meteo molto aggressivi negli ultimi anni”.

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