«Inutile aumentare la produttività se diminuisce il prezzo»

Segrè: «Qualità ed economia circolare per dare più valore all'ortofrutta»

«Inutile aumentare la produttività se diminuisce il prezzo»
Ineludibile. Il presente e il futuro dell'ortofrutta non può che fare i conti con l'economia circolare per rispondere alla sfida della sostenibilità e creare nuovo valore attorno ai prodotti coltivati. E al primo punto del Manifesto dell'Ortofrutta presentato agli Stati Generali (clicca qui per leggerlo e sottoscriverlo) c'è proprio la creazione di un’autentica circolarità lungo la filiera. Sul palco del Teatro Manzoni, con l'aiuto dell'agroeconomista Andrea Segrè, abbiamo affrontato questo tema strategico.

Professore, che ruolo avrà l'economia circolare nel futuro dell'ortofrutta?
L'economia circolare dovrebbe essere applicata ad ogni sistema economico, ortofrutta compresa. L'economia della crescita, quella lineare, non ha più molto senso in un mondo dove le risorse sono limitate e i consumi crescenti, ecco perché serve fare di più con meno, ecco perché ci dobbiamo affidare all'economia circolare, cioè a un modello che considera i rifiuti una materia prima seconda capace di rientrare nel ciclo di produzione. E' una visione ineludibile: non dobbiamo far altro che copiare dalla natura... In fine dei conti l'economia circolare non è che l'economia della natura e il futuro dell'ortofrutta non può che essere circolare.

Impostando la filiera con i crismi dell'economia circolare si innalzerà il valore delle produzioni?
Ci sono molto modi per aumentare il valore dell'ortofrutta. La base di partenza deve però essere la qualità del prodotto, anche e soprattutto a livello gustativo. Riconquistiamo il consumatore e cambiamogli nome: consumare vuol dire distruggere, pensiamolo invece come fruitore del bene ortofrutticolo, che non è solo una merce, ma un elemento di qualità elevata e gusto buono. E riconquistare il fruitore è importantissimo, perché nel nostro Paese, così come in altre economie sviluppate, sta succedendo una cosa strana: il consumatore, e qui torno a chiamarlo così, sta perdendo il valore del cibo, tanto che lo vuole pagare sempre di meno e va a cercare un costo della caloria sempre più basso. Di solito questo succede ai più poveri, ma nel nostro sistema il rischio è che il cibo non sia più un valore: lo stiamo sostituendo con l'ultimo modello di smartphone e questo sta portando tutto al ribasso.

Ma qui entra in gioco una problematica di carattere culturale...
E' un discorso culturale ma anche etico. Dentro il prezzo giusto c'è pure il giusto valore dei fattori della produzione, in particolare del lavoro: quando ci scandalizziamo del caporalato e del lavoro nero in agricoltura non pensiamo che se pagassimo qualche centesimo in più i prodotti potremmo garantire un valore giusto per la filiera.

I cambiamenti non sono mai semplici. Nota delle resistenze all'interno della filiera?
Da anni registro una sorta di guerra tra i produttori che incolpano la Gdo, la Gdo che incolpa la logistica piuttosto che la produzione... Bisognerebbe capire che solo una filiera unita e solidale può crescere; altrimenti c'è una competizione al ribasso dove ci perdono tutti. I margini sono sempre più ridotti: è inutile aumentare la produttività per ettaro se diminuisce il prezzo del prodotto.



La lotta agli sprechi passa anche da una produzione quantitativamente idonea alla capacità di vendita?
La lotta agli sprechi è il paradigma di una società che non funziona. Gli sprechi sono legati ai nostri comportamenti, si annidano nella nostra lista della spesa, nel nostro frigo, nella nostra cucina... I tre quarti degli sprechi alimentari sono domestici. Per ridare valore al cibo è fondamentale l'educazione alimentare. Sulle perdite, a livello di produzione, trasformazione e distribuzione, serve invece una filiera più efficiente e sostenibile. La produzione si deve adeguare al mercato, ma l'invenduto deve essere fisiologico e non strutturale.

Lo spreco si riduce anche conservando bene il cibo. Quale ruolo per il packaging?
Gli imballaggi ci aiutano a conservare, trasportare e allungare la vita dei prodotti. Oggi vediamo una battaglia sulla plastica che mi suscita alcuni interrogativi: il discorso di fondo è corretto se ho la possibilità di sostituire in maniera più sostenibile il materiale plastico, ma per dire questo ho bisogno di analisi sul ciclo di vita dell'imballaggio e di capire cosa è effettivamente più sostenibile per quel determinato prodotto. Insomma, prima di fare generalizzazioni starei piuttosto attento: il problema è la dispersione del rifiuto. Interverrei di più sulla raccolta differenziata e sull'educazione ambientale; poi stimolerei la ricerca per arrivare a packaging più sostenibili, senza dimenticare che il prodotto ortofrutticolo è deperibile e va conservato. Va bene non esagerare col monouso, ma cerchiamo di arrivare a una posizione di equilibrio... Purtroppo il nostro è un Paese di estremi.



Trasferire questi concetti al grande pubblico non è immediato. Cosa si dovrebbe fare?
Ogni sforzo deve essere fatto il prima possibile, agendo sull'educazione alimentare a partire dalle scuole materne. Fare una campagna di comunicazione rivolta agli adulti ha un senso relativo, ma pensiamo ai risultati che si possono ottenere interagendo con i bambini, le loro famiglie, gli insegnanti... arriviamo al cuore della nostra società. E poi questi concetti vanno imparati a scuola.

E la ricerca può aiutare a rendere questo percorso più trasparente?
Sostenibilità è una bella parola, che si può anche misurare non solo in termini economici, ma anche sociali e ambientali. Il nostro Paese dovrebbe credere di più nella scienza, investire maggiormente nella ricerca e vivere certe questioni con meno estremismi. Le metodologie per misurare la sostenibilità ci sono, le vogliamo applicare?

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