Coronavirus, ecco i materiali più inospitali

Sanità e salubrità sempre più centrali. L'intervento di Burioni

Coronavirus, ecco i materiali più inospitali
I virologi Roberto Burioni e Nicasio Mancini ieri su MedicalFacts hanno commentato i risultati di una nuova ricerca americana che affronta una questione spinosa e sinora poco dibattuta: ma il coronavirus resiste sugli oggetti? E per quanto tempo?

Lo studio americano
prende in considerazione 4 materiali, alcuni dei quali utilizzati anche nel packaging ortofrutticolo: rame, cartone, acciaio inossidabile e plastica. L'obiettivo del test è quello di capire se c'è possibilità di infettarsi in modo indiretto, attraverso cioè il contatto di un oggetto contaminato e il successivo portarsi le mani alla bocca, al naso o agli occhi.

Covid-19, spiegano gli esperti, permane nel tempo sulle varie superfici, ma la loro capacità infettiva muta con il passare delle ore e i materiali non sono tutti uguali. Ai campioni analizzati è stato applicato il virus e poi sono stati riposti in un ambiente a 21-23° e a un'umidità del 40%, per ricreare un ambiente domestico.



I materiali più 'inospitali' per il virus sono risultati il rame e il cartone, con un dimezzamento della capacità infettiva in meno di due ore per il primo ed entro 5 ore abbondanti nel caso del secondo. Un abbattimento completo dell'infettività è stato osservato rispettivamente dopo le 4 ore per il rame e le 24 ore per il cartone. Più lunga la persistenza sulle altre due superfici: sull'acciaio inossidabile la carica infettante risultava dimezzata solo dopo circa 6 ore, mentre ne erano necessarie circa 7 per dimezzarla sulla plastica. Questo dato si associava a un tempo decisamente più lungo, rispetto ai primi due materiali, per osservare un completo azzeramento dell'infettività: almeno 48 ore per l'acciaio e 72 per la plastica.

La persistenza del virus sui materiali è un tema ancora da approfondire e quelli che arrivano dagli Usa sono dati preliminari che, per esempio, non tengono conto della possibilità di igienizzare le superfici. Ci sono materiali la cui sanificazione, per esempio, è semplice ed efficace, altri dove è più complessa e richiede tecnologie più sofisticate e non alla portata di molte imprese e, quasi mai, del consumatore.

La salubrità del prodotto
nel suo complesso è uno degli aspetti che l'emergenza coronavirus ha reso più rilevante agli occhi del consumatore. Catene di sanificazione, certificazioni di processo e di prodotto - in cui il sistema ortofrutticolo italiano è decisamente virtuoso - possono rappresentare un'ulteriore opportunità per l'offerta italiana di ortofrutta. Sanità e salubrità sono valori al centro dell'attenzione del consumatore: lo sono oggi nel pieno dell'epidemia, ma lo saranno anche un domani. Attenzione quindi a comunicare nella maniera giusta. Senza dimenticare, comunque, per evitare inutili allarmismi che l'eventuale contagio attraverso superfici è assolutamente marginale rispetto a quello interumano, che resta la vera modalità di trasmissione, come sottolineato anche ieri dall’Istituto Superiore di Sanità.




Nel frattempo non ci resta che seguire il mantra di Burioni. "Isolamento sociale (nostro), massima igiene delle mani e delle superfici (ricordiamo che il virus è completamente inattivato da acqua e sapone e da altri detergenti) ed evitiamo di toccarci (e farci toccare) il viso. Avremo modo di rifarci quando tutto questo sarà finito".

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