«Frutta secca, vi racconto come si è sviluppata in Italia»

L'ex grossista Nicolò Renzi testimone di un mercato in continua espansione

«Frutta secca, vi racconto come si è sviluppata in Italia»
Dagli anni ’60, quando fu introdotta per la prima volta nei mercati all’ingrosso del nord Italia, la frutta secca ha registrato una crescita continua fino ai giorni nostri. Per capire il successo di questo comparto, è necessario fare un passo indietro e analizzare le dinamiche che negli anni hanno caratterizzato le vendite e la provenienza dei prodotti. 

“Se al Sud la frutta secca è da sempre ingrediente fondamentale della tradizione alimentare, al nord questo prodotto inizia a diffondersi nei primi anni 60, con l’arrivo della manodopera meridionale – spiega a Italiafruit News Nicolò Renzi, ex grossista dell’ortomercato di Milano, specializzato nella commercializzazione della frutta secca – La frutta secca, come il panettone, non doveva mancare sulla tavola dei milanesi. Era considerato un alimento prezioso, gustoso ma anche di notevole costo, tanto da essere consumato solo nelle festività natalizie”.

Tra i primi frutti secchi ad arrivare in nord Italia c’erano i fichi secchi del Cilento. “Venivano colti, pelati ed essiccati sui tetti della case – continua l’ex grossista – se in origine rappresentavano un alimento nutritivo e a costo basso, gli alti costi di trasporto mortificavano la natura povera dell’alimento: i prezzi erano talmente alti che venivano consumati solo nelle ricorrenze”.


Etichetta posta sui pacchetti di fichi pelati del Cilento commercializzati dal padre di Renzi
intorno agli anni '50.Sul frontespizio la ragione sociale della azienda

“Negli anni ’70 – continua Renzi – alla produzione nazionale si affiancano i primi prodotti di importazione: la California era rappresentata in forze, dapprima con le prugne secche, in concorrenza con le prugne d’Agen francesi, e le Iugoslave. Le prugne californiane, attraverso una politica di prezzi sempre più bassi, una pezzatura ed un gusto decisamente migliore, divennero presto il prodotto principe”.
E continua: “Successivamente le noci americane iniziarono a invadere i mercati, in controtendenza alle nazionali. A convincere i consumatori erano la loro pezzatura e la totale presenza di gheriglio sviluppato al suo interno. L’iniziale ritardo di arrivo nei nostri porti, venne mitigato dalla rotta verso il meno lontano porto di Rotterdam, da cui i container arrivavano in tutta Europa con circa 15 giorni di anticipo. Le qualità precoci Payne anticipavano gli arrivi mentre le varietà Eureka e Hartley, migliori di gusto, coprivano l’intera campagna natalizia”.

Dopo le noci, iniziarono a comparire sul mercato italiano altri frutti disidratati come l’ananas dalla Thailandia e, dall’emisfero australe i prodotti tropicali come la papaya e il mango.
Un ruolo particolare era ricoperto dalla Turchia – assicura l’ex grossista – grazie ai loro fichi secchi che, selezionati per qualità (Garland-Locoom, Lerida, Layers) e per classificazione (corone) sopperivano alla scarsità di prodotto nazionale. “Anche la loro uva secca ‘Sultanina’ – sottolinea il venditore - veniva usata in grandi quantità nella industria dolciaria milanese e, sempre a provenienza turca, erano molto apprezzate le albicocche secche”.
E aggiunge: “La Grecia portava nei nostri mercati i fichi secchi, lavorati in curiosi pacchetti tondi, mentre la loro uva secca si presentava con un colore molto chiaro. Molti anni prima si vendeva una uva essiccata, denominata Malaga, con acini grossi e confezionata in curiose scatole a forma triangolare, eccezionale, posta sotto spirito, era un gustoso dopo pranzo”.


Diploma di "Medaglia d'oro" dalla Camera di Commercio di Milano, 
per "38 anni di lodevole attività" conferita in data 22 maggio 1977

Un capitolo a parte va dedicato a un prodotto nazionale, l’uva di Pantelleria che veniva “confezionata in robusti sacchi di iuta, dalle cui maglie filtrava una melassa tanto era alto il suo grado zuccherino – ricorda Renzi - veniva acquistata dai panettieri milanesi, che la impastavano insieme alla farina per produrre il ‘pane all’uva’ ”.

Tornando ai prodotti di importazione, sul mercato italiano arrivavano anche i datteri secchi tunisini, “allineati in confezioni a forma ovale oppure in una lavorazione denominata ‘Branche’ in cui il frutto più grosso e maturo, ancora attaccato al suo ramo, era inserito in un pacchetto trasparente”.
Le arachidi arrivavano invece da Eritrea e Turchia, che negli anni registrarono un incremento costante. “Molto si deve ai prodotti americani o israeliani – specifica l’ex grossista - che selezionarono sementi con caratteristiche di pezzatura e di gusto superiori: arrivati al periodo del boom economico, i consumatori erano disposti a spendere di più per un prodotto soddisfacente dal punto di vista qualitativo”.

Le zone di produzione italiane

Consapevoli della forza delle tradizioni nei Paesi d’origine e sfruttando la conoscenza della filiera produttiva, molti immigrati dal Sud in quegli anni aprirono i mercati a nuovi prodotti attraverso piccole aziende dedicate al commercio dei prodotti secchi. “Ebbero il compito, non facile, di far conoscere i prodotti ai lombardi – commenta Renzi – e di consigliare i produttori in merito alle qualità selezionate e alla loro lavorazione. Così Milano si popolò di esercizi specializzati nelle prelibatezze territoriali”.

Percorrendo a ritroso lo stivale italiano, il nostro viaggio inizierà dalla Sicilia, dispensatrice di agrumi rinomati, di olive dal gusto intenso e di prodotti secchi di qualità. E non solo. “Dai territori siciliani arrivavano anche mandorle dal guscio morbido, Fellamasa e Bottara, Venus, per il consumo diretto – ancora il venditore – oltre alle mandorle di Avola destinate alla produzione dei confetti, alle nocciole in guscio e ai rinomati pistacchi di Bronte”.


Riconoscimento  State of Israel" attraverso "Israel Trade Award 1980" 
per la valorizzazione delle arachidi israeliane

L’ex operatore dell’Ortomercato di Milano ricorda le altre zone di produzione italiane: dalla Calabria arrivavano i fichi secchi al naturale o cotti al forno con una mandorla all’interno; la Campania produceva noci, nocciole e castagne nell’avellinese; fichi secchi al naturale o pelati nella zona del Cilento; la Puglia era una regione produttrice di mandorle mentre la specialità del Lazio erano le nocciole e castagne coltivate nel viterbese. E ancora la Toscana portava sul mercato i rinomati pinoli di Pisa, l’Emilia Romagna le castagne dall’imolese e il Piemonte le nocciole, destinate quasi per intero all’industria.

“Grazie a tutte le persone che hanno partecipato al rito del consumo di frutta secca – conclude Renzi - le tavole milanesi si sarebbero arricchite di quelle derrate, molto distanti dalla grande città ma che avevano conservato, nel loro interno, i profumi, i colori e i sapori di quelle terre lontane”.

In apertura un'immagine di una confezione di datteri datata 1970.

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