DAL SUCCO DI PITAIA ALLA POLPA DI BAOBAB, BOOM DI BEVANDE ALLA SUPERFRUTTA CHE INVOGLIA LE MULTINAZIONALI

DAL SUCCO DI PITAIA ALLA POLPA DI BAOBAB, BOOM DI BEVANDE ALLA SUPERFRUTTA CHE INVOGLIA LE MULTINAZIONALI
Tra il baobab, albero della vita e le bacche di Goji, pianta dell'eterna giovinezza è arrivata anche la pitaia (nella foto), il frutto del drago (approvata in Europa nel 2010), che nasce dai cactus dell'America Latina e Asia. Negli Stati Uniti il marchio Juice Generation si è assicurato i diritti di importazione di questa scultura naturale per un anno. A New York i suoi bar vendono bicchieri di succo di pitaia a 6 euro, richiamando i clienti attraverso le virtù benefiche del frutto che sarebbe ricco di antiossidanti, polifenoli, fibre e molte altre sostanze che prevengono cancro e invecchiamento. Pitaia, bacche di Goji, mangostano, polpa di baobab giungono da Asia, Africa o America Latina, ma quando arrivano seguono lo stesso percorso: prima passano dal frullatore del marketing, poi finiscono nel frullatore vero per essere venduti, in America, in bar e supermercati oppure in Europa su Internet e nei locali vegani. Bar specializzati in spremute di bacche di arcai e maracujà e pitanga fra l'atro sono arrivati anche in Italia, a Roma e Milano. In America invece, le multinazionali Coca Cola e Pepsi hanno fiutato il business dei succhi di "superfrutta" e hanno acquistato rispettivamente l'azienda californiana Odwalla nel 2011 e la Naked Juice l'anno scorso. Nel 2011, invece, a puntare sulle bevande salutiste era stato Starbucks, pagando circa 22,5 milioni di euro per il marchio Evolution Fresh. Insomma, nel caso dei "superfrutti" il marketing è più avanti della scienza. Le prime analisi di laboratorio stanno infatti cercando di capire quanto il contenuto di antiossidanti giustifichi le virtù pubblicizzate di questi prodotti esotici, i quali hanno un contenuto di micronutrienti non così diverso dai frutti di bosco, melagrane e agrumi. In genere la frutta dai colori intensi contiene alti livelli di sostanze salutari e infatti i "superfrutti tropicali" non fanno eccezione.

Fonte: La Repubblica