«Il melone del futuro? Più piccolo, conservabile a lungo, venduto al pezzo»

Francescon: eliminare dal commercio il prodotto di bassa qualità

«Il melone del futuro? Più piccolo, conservabile a lungo, venduto al pezzo»
Bruno Francescon, presidente della maggiore organizzazione di produttori italiana specializzata nel melone, l'OP Francescon, ha le idee ben chiare sul futuro della produzione e commercializzazione.

Lavorando in stretta sinergia con diverse società sementiere, l'OP gioca un ruolo importante nella selezione delle varietà più promettenti, suggerendo talvolta quali cultivar continuare a sperimentare e quali invece abbandonare.  

Secondo Francescon, il "melone del futuro" presenterà oltre all'ottima/eccellente qualità organolettica, due attributi principali e validi sia per il mercato italiano sia per quello europeo:
  • Dimensione compresa tra 1 e 1,4 Kg: si tratta, dunque, di un melone più piccolo rispetto agli standard attuali, che vedono un prodotto da 1-1,5 Kg per il mercato del Nord Italia e da 1,5-1,8 Kg per il mercato del Centro e Sud Italia. A questo proposito, Francescon crede che la vendita a pezzo attraverso un prezzo soglia, pratica diffusa e da anni consolidata nei mercati del Nord Europa, possa essere una soluzione per incentivare le vendite anche in Italia, abbandonando così progressivamente la vendita al Kg.  
  • Lunga conservabilità (7 o più giorni sul banco supermercato), intesa come capacità di garantire una qualità organolettica stabile (senza presentare problemi di macchiature esterne o di decadimento della consistenza) per non tradire mai le aspettative dei consumatori. Fattore che implica ovviamente di rinunciare in parte o totalmente al profumo tipico del melone.


Bruno Francescon, Presidente OP Francescon

Obiettivo di medio-lungo termine del comparto: eliminare dal commercio il prodotto di bassa qualità  

Per quanto riguarda lo sviluppo commerciale, Bruno Francescon spiega come l'obiettivo di medio-lungo termine che si dovrebbe porre il comparto produttivo italiano del melone sia riuscire ad "eliminare dal commercio la quota di prodotto distribuito di bassa qualità, che attualmente è stimato in circa l'8-10% della produzione commercializzata totale". Nei casi più estremi  - avverte Francescon - c'è chi porta questa percentuale addirittura al 30%: "in Italia alcune realtà non specializzate nella coltivazione di melone fanno solo tre o quattro trapianti raccogliendo, di fatto, sulle stesse piante per tutta l'estate. Così facendo si possono ottenere rese anche di 500-600 quintali per ettaro, ma il risultato è una qualità organolettica e una tenuta del prodotto pessima, che danneggia tutto il comparto. Queste aziende - specifica - fanno molto male al nostro prodotto!".
 
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