Costi, burocrazia, individualismi: l'Italia dell'ortofrutta perde colpi

Più ombre che luci dal Rapporto Nomisma-Unaproa sulla competitività presentato ieri

Costi, burocrazia, individualismi: l'Italia dell'ortofrutta perde colpi
Con una produzione annuale che ha raggiunto i 12,8 miliardi di euro, l’Italia si colloca al primo posto fra i Paesi dell’Unione Europea sia per il valore globale della sua produzione orticola (che copre il 20% del mercato Ue) sia di quella frutticola (sempre il 20%). Il comparto orticolo del nostro Paese, rispetto agli altri Stati dell’Unione, mantiene il primato anche per quanto riguarda l’estensione della superficie agraria dedicata a queste coltivazioni (18% del totale a livello comunitario), mentre per la frutta - con un 17% di Sau - figuriamo secondi dopo la Spagna (da solo lo Stato iberico ne copre il 30%).
 
È quanto emerge dal primo Rapporto Nomisma-Unaproa sulla competitività del settore ortofrutticolo nazionale, presentato ieri a Roma dal presidente di Unaproa, Ambrogio De Ponti,  con la  partecipazione di Luca Bianchi, Capodipartimento del Mipaaf, Paolo De Castro (Commissario europeo all’agricoltura) Sonia Ricci  (Assessore all’agricoltura della Regione Lazio) insieme a Felice Adinolfi (Università di Bologna) e Denis Pantini, direttore dell’area agricoltura e industria alimentare di Nomisma.

Ancora troppe criticità

Una fotografia del nostro Paese che, pur evidenziando la positività di questo primato, mette  immediatamente in luce le difficoltà strutturali del comparto.  Frammentazione delle aziende, scarsa propensione ad organizzarsi, normativa disomogenea a livello europeo  ed esagerata burocrazia della nostra Pubblica Amministrazione sono solo alcuni degli elementi che rischiano di travolgere un settore che potrebbe non riuscire a confrontarsi con gli altri Paesi, Spagna per prima.

I numeri del Rapporto

Ma vediamo i numeri. In Italia  le aziende dedicate alla produzione di ortaggi, sia all'aria aperta che in serra, frutta, agrumi, patate e legumi, sono oltre 491.000, estendendosi sul territorio per quasi un milione di ettari  (l'8 % della Sau nazionale). Nel 2014 le esportazioni del comparto hanno sfiorato i 7,4 miliardi (21,8% di tutto l'agroalimentare) con un +0,3% rispetto al 2013. Sono i prodotti trasformati quelli che trovano la principale collocazione sui mercati esteri  (41% delle esportazioni) seguiti nelle vendite dalla frutta fresca  (39%) e dagli ortaggi freschi (16%).

Le produzioni

Fra le coltivazioni italiane a più alta produttività  il pomodoro (sia fresco che da industria) risulta al primo posto in termini di quantità raccolte e al secondo, dietro alla Spagna, per valori di ricavo. Sempre in termini di quantità, un altro settore di punta è rappresentato dalle mele. Nella stagione 2013-2014 ne sono state raccolte 2,2 milioni di tonnellate, secondi per quantità solo alla Polonia (2,8 milioni di tons) e davanti alla Francia che, pur con produzioni inferiori (il raccolto francese è stato di 1,8 milioni di tons) è stata in grado di conquistare il primato europeo per valore di produzione. La specializzazione di filiera raggiunta in alcune aree (Caserta, Ravenna, Forlì- Cesena, Cuneo) ha permesso all’Italia ormai da parecchi anni di raggiungere un ruolo preminente per quanto riguarda la produzione di pesche e nettarine (il 40,7% del raccolto Ue). Un mercato da leader per il nostro Paese messo però in forte tensione  dai massicci investimenti effettuati negli ultimi anni dalla Spagna in questo tipo di  produzione, con un sensibile aumento delle superfici agrarie dedicate (+7,8% fra il 2001 e il 2013 a fronte di un -32,2% dell’Italia). 




Export in flessione per la frutta negli ultimi dieci anni

Dal 2003 per tutto il settore della frutta, con la sola eccezione delle mele, a livello mondiale per il nostro Paese si registra una contrazione sensibile  dei volumi di export.  Per l’uva da tavola la quota di mercato per la stagione 2013-2014 si attesta  al 15%, mentre era al 24% nel periodo 2003-2004. I kiwi mantengono una quota del 27% ,a livello internazionale,  collocandoci come primi produttori (ma nella stagione  2003-04 la nostra quota era il 34%). 

Costi eccessivi, norme diverse dai competitors...

Fra i primati del nostro Paese ce ne è purtroppo anche un altro: quello legato ai costi che deve affrontare tutto il comparto. In Italia il costo del lavoro in agricoltura è di 13,7 euro l’ora contro i 9,4 che vengono corrisposti in Spagna. Maggiorazioni le troviamo anche per il trasporto (con una media di 1,6 euro a chilometro, contro l’1,22 di quanto affronta Madrid) e sul prezzo dell’energia per uso industriale: l’Italia con 0,18 euro a Kilowatt sale sul podio in terza posizione dietro Cipro (0,23 euro per kwh) e Danimarca, (0,25 euro a Kwh). E non andiamo bene nemmeno per quanto riguarda i tempi che interessano l’adempimento di tutte le pratiche necessarie per movimentare via nave le merci a livello internazionale dai nostri porti. In Italia servono 19 giorni contro i 10 della Spagna e i 7 dei Paesi Bassi.



Elementi che di fatto rallentano fortemente la competitività del nostro settore, messo ulteriormente in difficoltà da una normativa europea che dovrebbe essere uguale per tutti ma che in alcuni casi, come per la possibilità d’utilizzo dei fitosanitari, di fatto differisce sensibilmente da nazione a nazione.  In particolare per l’Italia la lentezza delle procedure per approvarne l’uso, dopo il disco verde offerto dall’Unione europea, la maggiore restrizione per il loro utilizzo rispetto a Francia e Spagna ed il ricorso di più di uno Stato straniero a misure provvisorie per sfruttare temporaneamente prodotti che risultano invece vietati, fanno automaticamente lievitare i nostri costi e diminuire la produttività rispetto a quanto offerto da altri.

... e burocrazia

Quello che poi innervosisce tutto il settore è il confrontarsi con una burocrazia che probabilmente non ha eguali con nessun altro competitor a livello internazionale. Da un’indagine del 2013 commissionata da Unaproa su alcuni operatori associati è emerso che le aziende esaminate, per dare seguito alle attività di controllo della Pubblica Amministrazione, avevano  impiegato ben 172 giorni lavorativi sui 252 riservati al lavoro.

Dimensioni aziendali inadeguate e scarsa aggregazione

Per cercare di sostenere il comparto che al pari degli altri in agricoltura risulta polverizzato in aziende di piccole dimensioni, sono anni che Bruxelles sollecita la filiera a strutturarsi attraverso le Organizzazioni di Produttori. Al 31 dicembre 2014 in Italia risultano attive 295 Op attive, in leggera crescita rispetto al 2008 (erano infatti 279), ma rappresentano una scelta solo per il 18,7% dei produttori ortofrutticoli. Di contro hanno dimostrato di saper movimentare oltre il 44% del volume della produzione e il 47% del valore totale delle produzioni.

Quali quindi le proposte per cercare di fronteggiare un settore messo ulteriormente in crisi anche dalla pesante contrazione dei consumi  sul mercato nazionale (nel 2014 il consumo di ortofrutticoli freschi è stato di 131 Kg, con una riduzione pro capite di 18 Kg)?

De Ponti: margini di crescita enormi attraverso le Op

“Ci sono margini di crescita enormi – ha precisato il presidente di Unaproa, Ambrogio De Ponti – ma è necessario comprendere che le Organizzazioni di Produttori non sono semplici organismi  istituzionali per facilitare l’accesso ai fondi comunitari: sono invece dei veri strumenti economici in grado di sostenere le imprese garantendo un approccio migliore sia al mercato nazionale che internazionale” . 



De Castro cita la filiera della mela

Un concetto ribadito da Paolo De Castro, secondo il quale “essere capaci di fare un ottimo prodotto rappresenta solo il 50% del lavoro dell’imprenditore agricolo; il restante 50% è rappresentato dalla capacità di immettere quel prodotto sul mercato e garantire il necessario reddito”. Molti i casi vincenti, come per la filiera delle mele in Trentino, ha sottolineato De Castro il quale - rispondendo alle sollecitazioni sulla necessità di adottare nuove norme per disciplinare il settore - ha precisato che “le regole ci possono aiutare, ma ciò che serve è cambiare la mentalità dell’imprenditore: economie troppo piccole non sono più in grado di reggere la competizione sul mercato”.



Il Mipaaf: coinvolgere la Gdo nazionale per agevolare l'export

Un invito dunque a proseguire sulla strada dell’organizzazione e dell’interprofessionalità, con un confronto diretto tra i produttori agricoli e tutti gli altri operatori della filiera: un lavoro che, come ha assicurato Luca Bianchi, al Ministero stanno svolgendo con molta attenzione, sicuri che questa sia l’unica soluzione possibile per superare gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo del settore. “Stiamo cercando di coinvolgere anche la Gdo nazionale – ha concluso il Capo Dipartimento del Mipaaf – perché faccia da ponte e da battistrada nei confronti della Grande Distribuzione all’estero, agevolando così il nostro export”.

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