Sfamare il mondo

Il tema dell'Expo è di quelli che scuote le coscienze e pone domande importanti

Sfamare il mondo
Il tema è di quelli che scuotono la coscienza dalle fondamenta. In un'epoca nella quale siamo inclini a non sovraccaricarla di lavoro, l'idea di dedicare al cibo una grande tribuna come l'Expo è parsa subito straordinaria.
Un'occasione per interrogarci, tra tante indignazioni fasulle, sullo scandalo della fame e per provare a capire, sgombrando la tavola da luoghi comuni e formulette consolatorie, come sia possibile riempirla, così da soddisfare il diritto di nove miliardi di esseri umani ad un cibo sicuro e dignitoso.
Questa, correlata alla questione della sostenibilità dello sviluppo, oggi oscurata dall'assillo della crescita economica, è la grande domanda del XXI secolo e di quelli che, a Dio piacendo, seguiranno.

Come produrre ricchezza e ripartirla equamente preservando la salute del pianeta è un quesito che non ha ancora risposta.
La troveremo, mi auguro, lungo un percorso di ricerca capace di intessere nuove trame politiche, filosofiche e scientifiche, per riconciliare economia e ecologia.
Quelle che conosciamo sono logore.
In un mondo sovraffollato di persone e di macchine crescono i bisogni e le aspettative: più cibo, differente, migliore.
Mentre l'accesso resta precluso a troppi esseri umani.
E la terra fertile si riduce ogni giorno, assieme alla biodiversità.

È giunto il tempo di interrogarsi su quali siano le necessità e quali di esse debbano essere cambiate.
Disfarsi delle anomalie è diventata la condizione per preservare il progetto della modernità.
Dovremo governare le contraddizioni più acute di questa società post industriale con la coscienza del limite imposta dalla forza creativa-distruttiva della globalizzazione.
Possiamo decidere di imboccare la strada che ricerca incrementi di produttività nell'ingegnerizzazione di piante e animali, oppure mettere la scienza al servizio della naturalità dei processi e della conservazione delle diversità biologiche.
Con un approccio più rispettoso delle risorse che sospinge ad indagare tutti gli aspetti della produzione e del commercio di beni alimentari, a considerare i costi ecologici di un girovagare di prodotti freschi che fa perdere loro le qualità primarie, a chiedersi che bisogno ci sia di sostanze chimiche nei mangimi e di ormoni nelle carni.

Questa é la mia Expo, quella che vorrei vedere.
Quella che andrò a visitare non so com'è.
Il rischio é insito nella natura stessa della manifestazione, e si è palesato fin dalla fase preparatoria: che la spettacolarità dell'evento, i suoi risvolti economici e commerciali, che ci auguriamo importanti per l'Italia, facciano deperire il lievito madre e smarrire per strada le domande più profonde e cariche di futuro.
Il cibo é tante cose assieme, è vita, sacralità, ritualità, relazione, godimento e mille altre ancora.
Alimentarsi è un'attività densa di significati la cui percezione è filtrata dalla cultura.
È questo che ci si scambia fra le genti, dall'origine del mondo, cose, significati, cultura.
Vorrei che l'Expo, prima che una vetrina di prodotti, fosse un incontro di culture.
Così da far vivere la più importante delle biodiversità, la cultura della differenza.
Con l'auspicio che tutti, arrivando da sentieri diversi, ci si possa liberamente ritrovare in un'ispirazione comune, in un'idea di benessere che smonta le formule convenzionali che definiscono la qualità di maniera della vita come delle produzioni per ritrovare le sue categorie costitutive più autentiche.
Per riservare attenzioni nuove o, se vogliamo, antiche nutrite da conoscenze nuove, al cibo, al suo valore, al territorio, alle sue risorse, al ciclo vegetale che alimenta gli esseri viventi, alla rizosfera, a ciò che accade sotto la terra e non solo sopra.
Buono e sicuro. Si può fare.
Adesso.
Perché il cibo sia anche giusto, temo ci vorrà un po' di tempo e di determinazione in più.
 
* libero pensatore