Caporalato nell'ortofrutta: cosa si può fare?

La notiziabilità del tema potrebbe presto mettere a rischio l'esportazione di diverse produzioni

Caporalato nell'ortofrutta: cosa si può fare?
Nell'anno dell'Expo "Nutrire il Pianeta – Energia per la Vita" e della Carta di Milano alcuni "ingiustificabili" comportamenti imprenditoriali che toccano principalmente il settore degli ortofrutticoli freschi e trasformati sono stati messi al muro da Danimarca e Norvegia, Paesi che da sempre mettono l'etica del lavoro in vetta alla scala di valori fondamentali della vita.

Mentre il Premier Renzi parla delle nostre possibilità di crescita del nostro export, con l'obiettivo di arrivare a 50 miliardi di euro entro il 2020 (oggi si attesta a 34 miliardi), il caporalato è forse una delle problematiche più pesanti su cui il Governo e i Ministeri del Lavoro e delle Politiche Agricole devono lavorare in tempi ristretti, con fermezza e senza guardare in faccia nessuno. Perché davanti abbiamo Stati del Nord Europa che non lasciano spazio a lungaggini, ma chiedono risposte e soluzioni concrete di breve termine.

Nelle scorse settimane, Ieh e Dieh – due organizzazioni per il commercio etico di Norvegia e Danimarca cui aderiscono sindacati, cooperative, gruppi della grande distribuzione e associazioni di imprenditori – hanno scritto al Governo italiano per chiedere l'attuazione del Decreto Legislativo del 24 giugno 2014 numero 91, articolo 6, che istituisce la rete del lavoro agricolo di qualità. Il motivo? Sugli scaffali della grande distribuzione del Nord Europa non devono più arrivare alimenti prodotti attraverso lo sfruttamento di lavoratori migranti, assunti per intermediazione illecita tramite caporali.

Già nel 2013, il consumo di pomodori pelati italiani si era ridotto in Norvegia perché i consumatori si rifiutavano di comprare prodotti "non etici", dopo aver appreso su diversi giornali e siti internet che in appezzamenti del Sud Italia si faceva uso di braccianti non retribuiti legalmente per la raccolta del pomodoro. Da diversi anni, Norvegia e Danimarca studiano che cosa il nostro Governo sta facendo per contrastare questa piaga, tutt'ora non risolta come confermano recenti inchieste realizzate dalla stampa generalista (per esempio: Corriere della Sera, La Repubblica, l'Espresso, Il Sole 24 Ore) e programmi televisivi di approfondimento giornalistico che toccano soprattutto la filiera dell'ortofrutta fresca e trasformata. Inchieste che inoltre sembrano evidenziare come le nuove "vittime" del caporalato siano le donne, preferite in molti casi alla manodopera maschile poiché si ribellano meno e sottostanno a tutto. E' opportuno ricordare, in questo contesto, che il caporalato è stato riconosciuto reato penale nell'agosto del 2011, ed è punibile con l'arresto da 5 a 8 anni. Tuttavia non sempre si riesce a provarlo, spesso a causa delle difficoltà che incontrano le vittime nel denunciare.

Ora Danimarca e Norvegia tengono alta la pressione e ci suggeriscono direttamente di riformare il mercato del lavoro agricolo, con tre mosse: "Per migliorare la situazione – si legga nella missiva di Ieh e Dieh indirizzata al Premier Renzi, al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina e a quello del Lavoro Giuliano Poletti  – affinché ci siano condizioni lavorative dignitose per lavoratori agricoli migranti, troviamo di fondamentale importanza implementare meccanismi che evitino l'intermediazione illegale di manodopera agricola, contrastino l'occupazione irregolare di lavoratori, facilitino trasparenza nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro agricolo".

La notiziabilità del tema può rischiare di penalizzare seriamente la reputazione di quella larga parte di aziende ortofrutticole italiane che lavorano bene e secondo le regole umane, nonché di moltissime delle nostre eccellenze ortofrutticole. Italiafruit News auspica dunque un intervento tempestivo da parte del Governo e una forte azione di denuncia da parte delle principali associazioni del settore, in modo che i "buoni" possano isolare i pochi "cattivi" per non rischiare di generare macchie incancellabili che potrebbero, nel peggiore dei casi, anche portare ad un blocco delle esportazioni verso determinati Paesi.

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