La vergogna dell'insalata ipercalorica

Il Corriere della Sera enfatizza le elucubrazioni del Washington Post

La vergogna dell'insalata ipercalorica
Un’intera pagina del più venduto quotidiano nazionale è stata dedicata la scorsa settimana a “I dubbi sul piatto estivo più virtuoso” che, virgolettato: “costa troppo, deperisce facilmente e può diventare ipercalorico” (cliccare qui per leggere l’articolo sul sito internet della testata). E’ bastato che il pensiero di una giornalista free lance americana, Tamar Haspel, trovasse posto sul Washington Post, anche se con il più morigerato titolo:”Why salad is so overrated?” (Perché l’insalata è così sopravvalutata?), per scatenare un caso nazionale.

Perché sono indignato? Non tanto per quanto scrivono gli americani, che nelle loro abitudini alimentari considerano l’insalata “texture”, ovvero una struttura su cui mettere formaggio, pollo e salse di ogni tipo, quanto per il titolo e gli approfondimenti dell’articolo del Corriere della Sera, che viene letto da italiani che di insalate se ne intendono.

Andiamo con ordine e partiamo dal titolo e dal sottotitolo prima citati che tendono a mettere in cattiva luce il prodotto, pardon il piatto, perché il primo inganno è quello di mescolare ad arte l’insalata come prodotto e come piatto secondo le necessità. Per considerarla cara si deve fare necessariamente riferimento al prodotto (rispetto a cosa nessuno però lo dice), mentre per dire che potrebbe essere ipercalorica non si può che pensare al piatto.

Veniamo al testo. La prima assunzione è che l’insalata consuma tanta acqua nel processo di coltivazione: tanta rispetto a chi però la food blogger americana non lo dice; per fortuna ci pensa il Responsabile di Lega Ambiente a rivalutarla definendola più virtuosa di pasta e patate, anche se cade nel tecnicismo dell’impronta idrica, di cui la signora Maria ignora l’esistenza oltreché il significato.

La seconda assunzione è che costa troppo rispetto al suo contenuto nutritivo, che è modesto, mentre vi sono ortaggi molto più nutrienti. Qui arriviamo al paradosso poiché lo stesso quotidiano, ieri, nella pagina domenicale della salute, titola: “Insalata e cibi 'interi' per dominare l’appetito”, riportando il tema delle virtù nutrizionali dell’insalata nell’ambito del buon senso. L’insalata è un cibo/piatto moderno poiché a basso apporto calorico e, nel contempo, è saziante per cui adatto/a ai nostri regimi alimentari che sono troppo ricchi di carboidrati, proteine e grassi. L’apporto di fibra, vitamine e sali minerali completa il quadro. Dire poi che il piatto può essere ipercalorico se aggiungiamo troppi ingredienti, soprattutto non vegetali, è ovvio; si può dire la stessa cosa anche di un bicchiere d’acqua con dieci bustine di zucchero da caffè, per cui non mi pare che meriti un sottotitolo, a meno che non si voglia indurre il lettore in errore.

Terzo punto, la deperibilità. Sulla scia del principio lapalissiano che l’acqua bagna e ciò è intollerabile, l’insalata fresca inaccettabilmente marcisce. Sarebbe come criticare il gelato perché è freddo. La freschezza dell’insalata ha un rovescio della medaglia che si chiama marcescenza, per avere il pregio occorre pagare il prezzo del difetto, la scelta l’ha già fatta madre natura ed è difficilmente modificabile.

Dulcis in fundo se l’insalata marcisce genera sprechi. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso: sono stanco di vedere accomunato ciò che è fisiologico con ciò che è patologico. Consumare cibi freschi rispetto a cibi trasformati e conservati determina un costo da pagare a fronte di un differente profilo nutrizionale. Il costo è rappresentato dallo scarto per deperimento - che si può ridurre ma non eliminare – per cui una volta prestate le necessarie attenzioni un po’ di scarto è fisiologico e non costituisce certo uno spreco. Perché se questo è uno spreco, che cosa è comprare un abito nuovo quando se ne hanno dieci perfetti ma un po’ fuori moda; o un nuovo orologio dimenticando nel cassetto i due di cui si è già in possesso e che funzionano perfettamente; o aprire la casa per le vacanze per quindici giorni all’anno? Perché nessuno parla di questi “veri” inutili sprechi e, viceversa, si vorrebbe criminalizzare chi butta qualche busta d’insalata per consumare comunque verdura fresca pur avendo poco tempo a disposizione per prepararla? E’ ora di finirla con questa ipocrisia.

Per fortuna, a margine dell’articolo, c’è il parere dell’onnipresente nutrizionista che sentenzia: ”il segreto è condire con pochi grassi e tanta fantasia”; ha ragione, per un commento del genere di fantasia ce ne vuole davvero tanta.

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