Barriere fitosanitarie limite all'export

Se n'è parlato ieri a Bologna. Il punto sulle trattative e le strategie

Barriere fitosanitarie limite all'export
Se non ci fossero le barriere fitosanitarie l'export ortofrutticolo italiano potrebbe sbarcare su nuove piazze. Per conquistare mercati non servono solo grandi sforzi commerciali, ma bisogna fare i conti con normative e aspetti burocratici che paiono essere adottati dai Paesi terzi per scoraggiare gli esportatori di casa nostra nel loro lavoro.



A Bologna ieri è stato dedicato un incontro a questo tema (“Confrontarsi con il mercato internazionale. Il settore agricolo dell’Emilia-Romagna e le barriere fitosanitarie”) su iniziativa dell'Assessorato all'agricoltura dell'Emilia-Romagna. Per definizione le barriere fitosanitarie sono barriere non tariffarie alla circolazione di vegetali e prodotti vegetali, elevati da un Paese al fine di tutelare il proprio territorio e la propria agricoltura dall'introduzione, attraverso le rotte del commercio mondiale, di organismi nocivi (insetti, funghi, batteri, fitoplasmi, nematodi...) non presenti sul proprio territorio. Ma come è emerso durante il convegno spesso, troppo spesso, sono solo un pretesto per bloccare l'arrivo di determinate produzioni su un mercato.

Come ha spiegato Sabrina Pintus, del Servizio fitosanitario centrale, la rimozione delle barriere fitosanitarie implica l'avvio di un'attività negoziale lunga e complessa con le autorità dei Paesi terzi. “Gli accordi che vogliamo instaurare devono essere rispettosi del nostro sistema produttivo e delle norme che rispettiamo nell'Unione Europea”, sottolinea la funzionaria. “In alcuni accordi sono stati previsti dei requisiti che costringono gli esportatori a grossi sacrifici”.

Tra le trattative negoziali in corso ci sono quelle con la Cina per nocciole, mele, pere e erbe aromatiche; con la Corea del Sud per gli agrumi; col Giappone per i kiwi; con il Sudafrica per mele, pere e uva da tavola; col Canada per l'uva da tavola; col Vietnam per kiwi, mele e pere; con Taiwan per arance, mele e pere; col Messico per le sementi di ortive; con l'India per le sementi di colchico e i rizomi di ranuncolo; con Israele per i kiwi e col Brasile per le susine cino-giapponesi.

“Quest'anno – prosegue Pintus – abbiamo ottenuto l'estensione dell'accordo con la Cina per l'esportazione del kiwi e degli agrumi; anche se ancora non stiamo esportando agrumi in Cina perché, a seguito di visite tecniche degli ispettori cinesi, sono stati fatti dei rilievi a cui noi abbiamo subito dato riscontro, ma siamo in attesa di un nuovo feedback da parte dei cinesi”.
Secondo la funzionaria del Servizio fitosanitario “è meglio prendere tempo piuttosto che stringere un accordo castrante per le imprese”, e a tal proposito cita quello con la Corea del Sud per i kiwi (“ne sono stati esportati pochissimi container”). C'è poi il caso del Brasile, con le susine cino-giapponesi esportate fino al 2013 e poi improvvisamente bloccate.

Il Servizio fitosanitario centrale è poi attivo su altri fronti per migliorare le condizioni del mercato. E' il caso della Turchia, degli Stati Uniti (aperto un confronto tecnico per superare le problematiche relative alle intercettazioni di spedizioni di kiwi ai punti di entrata per la presenza di organismi nocivi), della Nuova Zelanda (sempre kiwi), del Giappone (adozione di una procedura semplificata per i controlli sui carichi di arance in partenza per via aerea). Poi con Serbia, Taiwan, Marocco e Giordania è stato aperto un confronto tecnico volto a superare le misure restrittive imposte all'esportazione di materiale di moltiplicazione di fruttiferi, vite e piante ornamentali a seguito del ritrovamento di Xylella fastidiosa in Puglia; mentre col Cile si sta predisponendo un piano operativo sul campionamento e la diagnosi da adottare per certificare correttamente le spedizioni di sementi ortive.

A proposito di sementi, il segretario di Assosementi, Alberto Lipparini, evidenzia come “l’attivazione di un tavolo nazionale permanente per la condivisione di strategie di gestione delle problematiche fitosanitarie rappresenta una necessità per prevenire la creazione di barriere fitosanitarie, potenziare il commercio estero e quindi sostenere la competitività delle imprese sementiere italiane. Le richieste di informazioni sui requisiti fitosanitari delle nostre sementi da parte dei Paesi Terzi sono in costante aumento e spesso si configurano come vere e proprie barriere alle nostre esportazioni. Serve un cambio di linea”.

Tra i problemi, come rileva Sabrina Pintus, la mancanza di informazioni. “Non ci arrivano comunicazioni ufficiali dall'estero e questo non ci permette di intervenire velocemente. Vogliamo istituire un Tavolo di settore, un luogo istituzionale, specifico, per incontrare le associazioni, individuare le problematiche e stabilire le priorità operative”.

“Ci sono disparità incredibili per gli accessi ai mercati: l'Ue ha un approccio permissivo, i Paesi terzi restrittivo”, sintetizza Simona Rubbi del Cso. “Abbiamo la necessità di negoziare specifici controlli, partiamo da situazioni con squilibri molto forti e questo porta a lungaggini burocratiche”. La mancanza di reciprocità e informazioni intempestive sulle questioni fitosanitarie sono un limite per l'Italia. “Le barriere fitosanitarie mascherano vere e proprie misure di protezionismo, sono barriere commerciali che scoraggiano o ritardano l'immissione sul mercato di prodotti provenienti dall'Italia – rimarca Rubbi – emblematico è il caso delle susine cino-giapponesi in Brasile o delle mele e pere negli Stati Uniti, dove abbiamo subito l'obbligo della pre-clearance. Nonostante questo non ci scoraggiamo, per l'ortofrutta l'export è fondamentale”.

E proprio per questo nei prossimi giorni torneremo sul tema, con l'analisi di alcune criticità che frenano l'export e di soluzioni trovate per superare le barriere.

Copyright 2016 Italiafruit News