L'export ortofrutticolo italiano vola, ma perde quote di mercato strategiche

Rapporto Nomisma-Unaproa sulla competitività del settore: i trend

L'export ortofrutticolo italiano vola, ma perde quote di mercato strategiche
L'export ortofrutticolo italiano cresce, ma questo non basta per stappare una bottiglia di spumante. Perché se da una parte le esportazioni di frutta e verdura sono in aumento – nel 2015 il fresco e il trasformato hanno raggiunto gli 8 miliardi di euro per un progresso del 7,9% sull'anno precedente e un più 60,1% rispetto al 2005 – l'Italia ha perso quote di mercato nei confronti di Paesi forti, come Stati Uniti e Cina. Questo è quanto emerge dal Secondo Rapporto Nomisma – Unaproa sulla Competitività del Settore Ortofrutticolo Nazionale, uno studio che fotografa lo stato dell’arte del settore, tra criticità, punti di forza e spunti per rilanciare la competitività.

Gli elementi per recuperare terreno, come è stato detto ieri durante la presentazione a Roma, ci sono. Ma serve anche l'aiuto della parte istituzionale, non troppo incisiva finora per le sorti del settore, anche se il viceministro Mipaaf Andrea Olivero ha annunciato – ancora una volta parole... – l'attivazione della cabina di regia del settore e la disponibilità sua e del ministro Maurizio Martina a lavorare a un Piano strategico per l'ortofrutta. “Aspettiamo una definizione più circostanziata di una strategia nazionale per il nostro comparto - ha chiosato Antonio Schiavelli, presidente di Unaproa – ribadendo l'importanza strategica dell'ortofrutta per l'economia del Paese”. Alla presentazione hanno partecipato anche Felice Adinolfi dell'Università di Bologna e l'eurodeputato Paolo De Castro.



Ma torniamo ai numeri dell'export illustrati da Denis Pantini, direttore dell'area agroalimentare di Nomisma. L'export mondiale di ortofrutta fresca vale 156 miliardi di dollari e negli ultimi dieci anni la quota dell'Italia è scesa dal 5,1 al 3,6%; mentre per quanto riguarda l'ortofrutta trasformata (un affare da 56 miliardi di dollari) il peso dei prodotti italiani è diminuito dal 7,7 al 6,5%. L'Italia cala, ma Usa, Cina, Cile e persino il Canada (grazie ai legumi) crescono; mentre sui prodotti di riferimento per il nostro export siamo minacciati da nuovi player.



Nell'ultimo decennio l'Italia è diventato il primo esportatore di mele al mondo, detenendo una quota del 12% come la Polonia, ed è minacciata dalla Bielorussia che, col gioco dell'embargo, ora ha una quota (frutto di intermediazione e non produzione) del 5%.
Per l'uva da tavola l'Italia resta il secondo Paese al mondo in fatto di export, ma la quota è passata dal 16% del 2004-2005 al 12% del 2014/2016, con le pressioni del Perù (7%) e della Cina (4%) che si fanno sentire.



Il 26% dei kiwi mondiali esportati sono italiani (contro il 31% di dieci anni fa) e per questo prodotto stanno emergendo Iran e Grecia, che valgono rispettivamente il 5 e l'8% dell'export globale. Drammatico il crollo per pesche e nettarine: in dieci anni la quota italiana è passata dal 31 al 13% con la Spagna che è invece cresciuta dal 26 al 43%. Sugli agrumi la situazione è stabile, con un 2% di export mondiale che parla italiano, ma l'Egitto è entrato prepotentemente sulla scena e ora ha in mano il 9% del mercato. Anche sulle nocciole lo Stivale ha perso terreno, mentre ne ha guadagnato la Georgia che nell'ultimo decennio dal nulla è passata a controllare il 9% dell'export mondiale di questo prodotto e verso questo Paese si stanno indirizzando investimenti anche da parte di grandi trasformatori italiani. Infine le conserve di pomodoro: l'Italia è sempre il primo player mondiale, ma con il 39% dell'export ora è minacciata dalla Cina (20%) e dagli Usa (12%).



“Sul mercato sono emersi nuovi competitor – ha analizzato Pantini – Paesi minori se vogliamo, ma stanno erodendo quote di mercato all'Italia. E per l'Italia il paniere dell'export cambia anche per i prodotti in cui è leader, come mele e kiwi. I volumi sui mercati di prossimità, quelli europei, sono diminuiti, mentre ci sono nuovi sbocchi più lontani, come l'Arabia Saudita e l'Algeria per le mele o gli Usa e la Cina per i kiwi. Le sfide per le nostre Op sono sempre più rilevanti, perché cambiano i mercati e le distanze”.




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