Finalmente in scena il neuromarketing per l'ortofrutta

Il 2 dicembre la verità su quanto è disposto a pagare il consumatore

Finalmente in scena il neuromarketing per l'ortofrutta
Dodici anni fa le multinazionali del tabacco si fecero promotrici di uno studio per comprendere il reale effetto delle etichette dissuasive del tipo “il fumo uccide”. Furono così verificate, con l’ausilio di diverse macchine fra cui quella per la risonanza magnetica, le sensazioni di oltre duemila fumatori di ogni parte del mondo di fronte a pacchetti di sigarette che riportavano ben evidenti le frasi di condanna del fumo che oggi troviamo su tutte le confezioni. L’esito fu un inaspettato plebiscito: malgrado i più giurassero che leggere quelle cose faceva venire voglia di smettere, si dimostrò che, invece, induceva a fumare di più. Alla vista del pacchetto di sigarette, infatti, l’area del cervello collegata al piacere e all’euforia si illuminava, come puntualmente misurarono le macchine e, per questo, moniti e raccomandazioni scritte a caratteri cubitali erano privi di effetto. 

Solo qualche anno dopo Martin Lindstrom, lo studioso che aveva coordinato la ricerca, fu autorizzato a divulgare i risultati del suo lavoro e, da allora, il neuromarketing è stato sempre più utilizzato per capire cosa i consumatori vogliano e apprezzino davvero, soprattutto quando - per varie ragioni - ciò che affermano razionalmente si discosta da come agiscono a livello emozionale. 



Attraverso la lettura di ciò che il cervello elabora e trasmette, sulla base degli stimoli che riceve dai sensi, è possibile determinare ciò che, poi, l’individuo farà. Vi sono tante tecniche, che partono – ad esempio - dall’analisi di ciò che trasmettiamo al cervello con la vista, determinabile seguendo ciò che attira e viene focalizzato dall’occhio con un apposito strumento, fino a rilevare e interpretare gli impulsi prodotti dal cervello con l’elettroencefalografia, o il richiamo di sangue nelle diverse aree del cervello a seguito dell’attività in corso, con la risonanza magnetica. Fantascienza? Tutt’altro. 

Diversi settori merceologici, soprattutto quelli a più alto valore aggiunto, come il fashion e l’oggettistica di marca, si avvalgono ormai da tempo del supporto del neuromarketing per prendere decisioni sul gradimento dei prodotti, sull’efficacia delle esposizioni e, infine, sulla disponibilità a pagare per il valore percepito della loro offerta. Anche se suona strano per l’ortofrutta: perché vendere a buon mercato ciò che la gente è disposta a pagare caro (ho scritto disposta, non obbligata)? Genera ricchezza, che può essere reinvestita per produrre nuova ricchezza al sistema.

Per l’ortofrutta italiana, però, era fantascienza fino a quando non abbiamo deciso di sviluppare un test di brainmarketing in collaborazione con Brain Signs, lo spin-off dell’Università Sapienza di Roma. Con il team del collega Fabio Babiloni, infatti, stiamo realizzando in Italia la prima ricerca di questo tipo sull’ortofrutta, divisa in due grandi filoni. Uno condotto direttamente in un punto di vendita, per capire le logiche e le dinamiche di acquisto; l'altro eseguito in laboratorio e, poi, "in diretta" durante l’evento di presentazione della 17esima edizione del nostro Speciale Frutta & Verdura, il prossimo 2 dicembre (scarica qui il save the date), per capire quanto i prodotti soddisfino davvero i consumatori. E, pertanto, quanto essi siano veramente disposti a pagare per un prodotto soddisfacente rispetto a uno che non lo è.

"Qui casca l’asino", mi verrebbe da dire, perché nessuno finora lo ha fatto e, per questo, mentre sulla monografia riporteremo i risultati della ricerca sul punto di vendita e in laboratorio, sul palco ripeteremo con i nostri ospiti l’esperimento in diretta. Per sapere chi ci sarà, non perdetevi le prossime puntate.
Stay tuned!

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