In Puglia si sperimenta l'uva insacchettata

Progetto Uvasis: i grappoli maturano all'interno di un ambiente protetto

In Puglia si sperimenta l'uva insacchettata
Individuare innovazioni che possano dare la certezza di un raccolto più sano, una strategia di produzione “pulita”, di immediata e larga applicabilità e di forte impatto visivo sul consumatore. Da queste esigenze nasce il progetto dell'uva da tavola insacchettata direttamente sulla pianta, con i grappoli che maturano all'interno di un ambiente protetto.

Questo, in estrema sintesi, è il progetto "Uvasis - Sicurezza e sostenibilità per l’uva da tavola”, che in Puglia sta sperimentando la tecnica di insacchettamento dei grappoli per ottenere qualità ambientale, tracciabilità e in particolare sicurezza alimentare nelle produzioni agricole regionali ai fini della valorizzazione commerciale.
Il progetto - che durerà due anni - è promosso da Sinagri, spin off dell'Università di Bari, presieduto dal professor Vincenzo Fucili, mentre il responsabile scientifico del progetto è Costantino Silvio Pirolo.

Nei mesi scorsi, quando gli acini erano da poco formati, l'uva da tavola è stata insacchettata e ora è in fase di maturazione. La sperimentazione è stata fatta su varietà tardive, quindi la raccolta ancora non c'è stata. Partecipano al progetto promosso da Sinagri anche il Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura (Crsfa) "Basile Caramia", l'Organizzazione di produttori Gruppo Tarulli, l'Azienda agricola Campagna Onofrio Felice e l'Op Agritalia.

"L’idea di sperimentare questa tecnica è del 2011 - racconta Pirolo - quando insieme a un collega ricercatore del Cnr, Federico La Notte, in un viaggio di lavoro in Cina, scoprimmo che la pratica di insacchettare era assai diffusa ed estesa a differenti frutti anche di dimensioni medio-piccole come mele, pere, pesche, mango, nespole, con uso di sacchetti di differenti colori, in grado di influenzare il colore, la sua uniformità ed anche la concentrazione zuccherina". 

"Il progetto - prosegue Pirolo - mira a sperimentare la nuova tecnica dell’insacchettamento dell’uva da tavola valutandone l’efficacia nella protezione dei grappoli, definendo materiali e modalità applicative in funzione delle varietà, valutando i possibili benefici ambientali, economici, commerciali e di sicurezza alimentare. Prove empiriche realizzate qualche anno fa anche in Italia hanno dimostrato che il grappolo di uva chiuso all’interno di un sacchetto non ha bisogno di essere trattato per giungere a maturità in modo integro e perfetto". 

"Il sacchetto - aggiunge il ricercatore - preserva il grappolo dai principali parassiti, impedendo l’ingresso di insetti e spore fungine ed evita il contatto con i fitofarmaci irrorati nel vigneto. In particolare, nei vigneti protetti da copertura plastica, la limitata bagnatura della chioma impedisce lo sviluppo della peronospora e l’uso esclusivo dello zolfo potrebbe risultare sufficiente a salvaguardare l’apparato fogliare e a mantenere sotto controllo le popolazioni di acari. Per questi motivi l’utilizzo del sacchetto, dopo la fase di allegagione, potrebbe essere abbinato a un disciplinare di produzione integrata molto più blando, equiparabile a quello biologico. Peraltro, nei vigneti condotti con agricoltura biologica, la tecnica dell’insacchettamento potrebbe consentire una maggior efficacia nella protezione e un minor rischio di perdite di prodotto per danni estetici".



Ma quali sono i principali vantaggi di queste tecnica? "Colore uniforme, perché le uve maturano protette dall'incidenza diretta del sole - risponde il responsabile del progetto Uvasis - salubrità dei grappoli che non vengono raggiunti, almeno in via diretta, da pesticidi e concimi fogliari; migliore conservabilità dell’uva, che viene mantenuta su pianta e colta fino a gennaio con evidenti risparmi energetici rispetto alla conservazione in cella. La tecnica si inquadra coerentemente nelle politiche agricole ed ambientali comunitarie tendenti alla sicurezza alimentare e alla salvaguardia dell'ambiente".

L'uva insacchettata, anche dal punto di vista del packaging, potrebbe introdurre novità nel settore. "Il sacchetto è una barriera e ha un impatto visivo; opportunamente conformato e stampato, potrebbe fungere da confezione in grado di differenziare immediatamente il nuovo prodotto - sottolinea Pirolo - ospitare il codice a barre per la tracciabilità, trasmettere fiducia al consumatore. I costi non proibitivi per la messa in opera del sacchetto, da nostre prove il fabbisogno di lavoro è di 25-35 giornate per ettaro, saranno ampiamente soddisfatti dal prezzo alla vendita del nuovo prodotto".

La scelta delle varietà da sperimentare tardive, oltre a motivi di natura tecnico-economica (esclusione di varietà geneticamente soggette ad elevata acinellatura come la Victoria) e commerciale (la competitività dei Paesi emergenti come Egitto, Marocco, Giordania è forte nei mesi estivi ma non in quelli autunnali), è mirata alla trasferibilità della tecnica su superfici importanti. "Per avere un riscontro immediato sui mercati locali, sono state però anche inserite varietà tradizionali da commercializzare in filiera corta, come la Baresana. La sperimentazione consiste nel provare differenti tipologie di sacchetti di carta e plastica microforata applicati ai grappoli in varie fasi dello sviluppo vegeto-produttivo della vite - conclude Pirolo - e verificare la qualità e la residualità all’interno del prodotto".

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