Mazzini (Coop Italia): «Fare filiera, non esiste un piano B»

Per valorizzare il sistema, e i prodotti, c’è ancora tanto lavoro da fare

Mazzini (Coop Italia): «Fare filiera, non esiste un piano B»
Alla vigilia della quarta edizione riminese di Macfrut, la “fiera di filiera” per l’ortofrutta, Italiafruit News traccia lo stato dell’arte del settore “sempre più orientato alla ricerca del valore” con Claudio Mazzini, responsabile freschissimi di Coop Italia.

Cosa è cambiato in questi quattro anni per il nostro settore?
Certamente stiamo assistendo al lento ma significativo rinnovo dei manager delle aziende produttrici, e anche al turn-over all’interno della grande distribuzione organizzata, con la comparsa di nuove insegne e cambiamenti strategici sul territorio nazionale.

Un panorama piuttosto dinamico e in evoluzione: potremmo dire che va tutto bene?
Proprio tutto direi di no. E’ vero che lo “svecchiamento” porta a ragionare in modo più moderno, finalmente anche in termini di categorie e category management, ma siamo molto lontani dal sapere valorizzare il settore. Siamo, in effetti, ancora all'epoca dell’ortofrutta da “poco più di un euro il chilo”, e così non si fidelizza il consumatore.
Pensiamo a pesche e nettarine: abbiamo ancora magazzini attrezzati per gestire “palle da biliardo” più che frutta, e c’è molto da fare per integrare la filiera. Avendo chiaro cosa devo fare io, Gdo, tu centro di lavorazione e tu genetista.

Secondo lei, quindi, la valorizzazione dell’offerta non può prescindere da un approccio di filiera.
Esatto, non abbiamo un piano B, non si vince con aste con doppio clic, si vince creando valore. Ma, per farlo, dobbiamo dare al consumatore un valore che lui riconosca come tale e non le speculazioni del momento. Insomma, la cultura del marchio parte da quello che metti dentro la retina e, ripeto, anche se con il rinnovamento generazionale molto è cambiato, servono veri meccanismi di reciprocità. Dobbiamo impostare più sul costruire che sulla semplice negoziazione. La contrattazione non può ridursi a fare la media tra minimo e massimo in un balletto con saldo economico sempre uguale a zero, ma deve invece creare o aumentare valore per il consumatore. Che va messo al centro di ogni scelta.

E il valore non può che essere al centro dell’offerta...
Dopo quattro anni di "Macfrut della filiera" (e dopo tre anni di Think Fresh - La filiera si incontra, che si muove proprio in questa direzione), abbiamo ancora una grande prateria davanti a noi. Per esempio, oggi tra un prodotto premium e uno di qualità mediocre la differenza alla vendita è pari a un caffè, ma tutti dedichiamo enormi energie per contrattare il miglior prezzo (in entrambe le direzioni) e non ad aumentare il valore reale del prodotto. Dico questo consapevole che qualcuno sorriderá pensando al prossimo affare di breve periodo che riuscirá a fare.
Torniamo al caso delle pesche e nettarine, non tutti i fornitori sono in grado di garantire una chiara suddivisione tra le varietà tradizionali e le subacide, offrendo al consumatore prodotti con lo stesso nome ma differenti tra loro.
Invece, per acquisire valore bisogna segmentare e, di fatto, andare contro la logica della massificazione tipica degli ultimi 20 anni. E, soprattutto, elaborare il lutto di avere sbagliato gli investimenti varietali e avere il coraggio di cambiare.
Di tutto questo parleremo alla nostra assemblea fornitori dell’11 maggio a Rimini, e lo faremo per due grandi mercati come quelli della frutta estiva e del pomodoro.

Due segmenti che stanno attraversando un lungo periodo di crisi.
Dobbiamo semplicemente capire quanto ci dice il consumatore. Perché anche nei massimi picchi produttivi le albicocche si vendono tutte, e lo stesso non accade con le pesche o con i pomodori? Facile, perché le albicocche sono buone, in grado di non tradire le aspettative. Sempre che non prevalga la spinta all’iperproduzione e la logica alla massificazione.

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