Senza ritegno: due pesche a 4,70 euro

In autostrada frutti costosi e cattivi: così si disincentivano i consumi

Senza ritegno: due pesche a 4,70 euro
La scorsa settimana, in uno dei miei tanti pasti on the road, ho voluto provare l’ebbrezza di un po’ di frutta, per completare - si fa per dire - il lauto pasto. Senza guardare il prezzo ho preso d’istinto il piattino con due pesche che vedete in fotografia e l’ho messo sul vassoio. Si sa che nei self service delle stazioni di servizio il conto è salato, ma far pagare due pesche quattro euro e settanta mi pare in ogni caso una follia. La colpa è certo mia che non ho prestato attenzione al prezzo, accorgendomi dell’abominio solo mentre gustavo - si fa sempre per dire - l’insalatona caprese che costituiva la portata principale.

Si tratterà di pesche speciali, mi sono detto, e allora le ho avvolte in un tovagliolino e ho atteso di essere comodo sul divano di casa per assaporarle. Prima, però, ho fatto qualche piccola verifica: diametro 70 mm che corrisponde a un calibro Apeso 340 grammi complessivi che corrisponde a un prezzo di 13,80 euro il chilodurezza al penetrometro 5 chili per centimetro quadrato, l’equivalente di due bocce da biliardoinfine, ma non in ordine di importanza, 9 gradi Brix che nella scala del sapore corrisponde a “dolcezza da dimenticare”.



Malgrado mancassero i requisiti per definirle anche solo un prodotto standard, non certo strepitoso come avrebbe voluto il prezzo, le ho mangiate lo stesso per “ottimizzare” l’investimento. Mentre sgranocchiavo la polpa dura e insipida ho fatto qualche riflessione che condivido con voi.

Prendere due pesche da una cassa e metterle in un piattino, senza pelarle, denocciolarle e tagliarle a cubetti non può richiedere che un minuto di tempo, compresa l’esposizione nella vetrina. Sebbene sia inverosimile, anche considerando questa operazione dedicata alle sole mie due pesche e pur ammettendo alti costi fissi e margini da oreficeria per il ristoratore, non si può valorizzare l’operazione oltre tre euro. E’ un’indecenza.

Quindi la strategia dell’impresa che gestisce queste stazioni di servizio è disincentivare il consumo di frutta a vantaggio di altri dessert poiché - salvo qualche emiro di passaggio - chiunque altro avesse visto il prezzo non avrebbe comprato le pesche. 

L’afflato salutistico di questi ultimi anni degli autogrill (del format, non della catena in specifico, ndr) con l’introduzione di frutta secca, prodotti vegani, cibi senza glutine e menù detox non contempla appieno l’ortofrutta, che viene spesso bistrattata. L’insalata non è  all’altezza, le spremute idem e ora pure la frutta estiva non è una bella esperienza, per di più costosissima.

Se si pensa all’aumento dei pasti fuoricasa rispetto ai sofferenti consumi domestici forse serve una strategia delle imprese di produzione più mirata anche su questo canale, pena la perdita delle enormi opportunità in gioco visto lo scarso interesse che dimostra la ristorazione sui nostri prodotti.

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