Coop dice no al caporalato e sferza il settore

Mazzini: «Evitare filiere polverizzate, i distributori reagiscano»

Coop dice no al caporalato e sferza il settore
C'è voluta una doppia tragedia - la morte di 16 braccianti agricoli in due incidenti stradali in Puglia - per riaccendere i riflettori sul fenomeno del caporalato. Organizzazioni criminali di stampo mafioso, lavoratori sfruttati nella raccolta dei pomodori (ma anche di altri prodotti ortofrutticoli), il tutto per arrivare sul mercato con prezzi bassi. Talvolta stracciati. E qui entra in gioco la distribuzione, finita al centro delle polemiche sulla stampa generalista nazionale per le aste online a doppio ribasso, un meccanismo che - come denunciato da diverse associazioni di categoria - mette in estrema difficoltà chi lavora seguendo le regole, perché sotto certi prezzi è impossibile scendere.

Quando scoppia il caso mediatico, però, tutti gli operatori di una filiera finiscono per venire colpiti. Il caporalato esiste, ma non tutte le aziende agricole d'Italia vi fanno ricorso. Le strategie commerciali aggressive sono una realtà, ma non tutte le catene distributive le adottano. E c'è chi, come Coop, da anni ha avviato un percorso per garantire la legalità del lavoro, soprattutto in ortofrutta, e campagne come Buoni&Giusti per combattere l'illegalità. Con Claudio Mazzini, responsabile freschissimi di Coop Italia, affrontiamo questo tema, delicato ma cruciale per lo sviluppo di un'ortofrutta che vuole creare valore.

Claudio Mazzini Coop Italia

Una tragedia e il caporalato torna alla ribalta. Ma senza morti e senza la pressione dell'opinione pubblica la filiera non è capace di reagire?
Noi presidiamo queste tematiche da molte anni e commercialmente non facciamo aste online al doppio ribasso. Per questo quando leggo che la distribuzione strangola i produttori mi rode, mi rode parecchio perché generalizzare non fa bene: non ci sottraiamo dal problema, noi lo affrontiamo. E' dal 1998 che monitoriamo i fornitori di prodotto a marchio Coop nel rispetto dello standard SA8000, chiedendo la sottoscrizione e l’applicazione di un codice etico e svolgendo adeguati controlli, con auditor qualificati e indipendenti. Per le filiere ortofrutticole particolarmente a rischio, tra cui quella del pomodoro, Coop ha coinvolto non solo gli 80 fornitori ortofrutticoli di prodotto a marchio Coop (per 7200 aziende agricole), ma tutti gli 832 fornitori nazionali e locali di ortofrutta (per oltre 70mila aziende agricole). A tutti i fornitori Coop chiede una serie di impegni per il rispetto dei diritti dei lavoratori e prevede l'esecuzione di un piano di controlli a cui non si può venir meno, pena in caso di non-adesione l'esclusione dal circuito.

E fate dei controlli?
Certo. In questo momento, come in tutti gli altri anni, abbiamo sette ispettori che controllano il rispetto del codice etico direttamente nei campi di pomodoro di Puglia e Campania. I controlli arrivano a coinvolgere le singole aziende agricole con un monitoraggio specifico. In caso di non-conformità alle tematiche in oggetto Coop chiede un immediato piano di miglioramento o, in relazione alla gravità, può anche decidere di escludere i fornitori o i subfornitori coinvolti. Sono 10 le imprese escluse da Coop negli ultimi anni per il mancato rispetto delle norme etiche. Ma la battaglia non si vince solo coi controlli: è necessario evitare che la moneta cattiva scacci la buona e che la ricerca del prezzo più basso possibile faccia a pugni con i diritti delle persone. Per questo motivo Coop non fa le aste al doppio ribasso, ma promuove relazioni stabili e di lungo periodo coi fornitori.

Ma perché il caporalato attecchisce soprattutto al Sud e in filiere come quella del pomodoro?
Questi fenomeni sono tanto più diffusi quanto la filiera produttiva è polverizzata. Pensiamo alle clementine in Calabria o al pomodoro in Campania e Puglia: manca un'aggregazione coordinata e seria, ci sono modelli fermi al secolo scorso. Questa situazione genera condizioni sfavorevoli per chi produce e lascia spazio a chi vuole mettere in campo leve più muscolari in ambito distributivo. E' necessario dare un segnale e incentivare l'aggregazione.

Coop Buoni&Giusti pomodori

A proposito di segnali, Coop è passata dalla parole ai fatti. Come?
Ad esempio il prezzo che assicuriamo a chi produce permette il rispetto della sicurezza e la giusta retribuzione ai lavoratori e alle imprese. L’accordo di filiera Coop garantisce agli agricoltori del Sud  per il pomodoro da industria un prezzo superiore di oltre il 10% rispetto al prezzo dell’accordo interprofessionale. Fare agricoltura nel rispetto delle regole e facendo in modo che siano coperti i costi di produzione non solo è possibile, ma è anche sostenibile. Con la campagna Buoni&Giusti Coop lo abbiamo dimostrato. Buoni&Giusti Coop vuole essere un apripista per intervenire concretamente sul lavoro nero e su tutte le forme di illegalità. Vuole dire che noi ci siamo.

Voi ci siete e il resto della distribuzione. Anche nel panorama della Gdo si potrebbe parlare di polverizzazione...
E' giunto il momento di fare, di dimostrare che altri modelli sono possibili. Non possiamo lasciare che l'operato di pochi getti un'ombra su tutto il settore. Purtroppo è più facile parlare alla pancia che al cervello, ma così non andiamo avanti di un millimetro: proviamo invece ad utilizzare queste occasioni, senza strumentalizzare le tragedie, per dire che vogliamo avere un'economia legale e sostenibile e dimostrando che questo è possibile. I produttori che rispettano le regole non rinunciano a competere o a essere innovativi, così come i distributori non rinunciano alla competitività. Ma tutti devono muoversi in uno scenario che presenti le stesse regole.

E in questo contesto che potere ha il consumatore?
Enorme. Ogni giorno sceglie, comprando. Se è consapevole e può decidere cosa mettere nel carrello, può decidere di premiare o di far fallire un modello. Ma devi far percepire al consumatore cosa c'è nel prezzo di un articolo e che una cosa è la promozione di un prodotto e un'altra il suo valore. I distributori che utilizzano strumenti commerciali estremi mettendo in vendita prodotti che, per tutti gli altri, sono sottocosto e così condizionano il mercato e disorientano il consumatore.

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