Uva da tavola, la corsa delle seedless

Ieri a Madrid il Gruppo di contatto. Italia verso il 50% senza semi

Uva da tavola, la corsa delle seedless
Uva da tavola, la corsa delle seedless non si ferma in Italia e nel giro dei prossimi tre-cinque anni si potrebbe avere il 50% degli impianti con semi e il 50% senza semi. E' uno degli aspetti emersi ieri a Madrid durante il primo incontro del Gruppo di contatto tra Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Oltre ai dati produttivi si è parlato di aspetti fitosanitari e apertura dei mercati.

La delegazione italiana del gruppo di contatto dell'uva da tavola è composta da Donato Fanelli (coordinatore del comitato uva da tavola dell'Oi Ortofrutta Italia), Giacomo Suglia e Alfio Messina (Fruitimprese), Vincenzo Patruno e Luigi Rizzo (Alleanza cooperativa italiane), Sergio Curci (Cia), Michela Laporta e Salvatore Novello (Unione nazionale Italia Ortofrutta), Teresa Diomede (Op Apoc) e Roberto Cherubini (Mipaaf).

Ma torniamo ai numeri. Nel documento che la delegazione italiana ha presentato al Gruppo di contatto sono state riassunte le previsioni di raccolta per il 2019. Nel nostro Paese si contano 47.200 ettari di impianti dedicati all'uva da tavola, con la Puglia che rappresenta oltre il 60% delle superfici. I volumi attesi sono di circa 970mila tonnellate, il 30% in meno della passata stagione, con una prevalenza di uva con semi (70%) rispetto alle seddless, ma nel giro di qualche anno, come anticipato, si arriverà alla parità.

Dei volumi prodotti in Italia solo il 18% (175mila tonnellate) resta in Italia, il 50% è destinato al mercato europeo e il 32% nei Paesi extra Ue.



Sugli aspetti fitosanitari, la delegazione italiana ha insistito sul riconoscimento reciproco dei fungicidi e insetticidi impiegati. L'obiettivo è creare un "sistema di deroghe europeo armonizzato per evitare che in un Paese si possa utilizzare in deroga un prodotto che in un altro è vietato, ovvero situazioni di concorrenza sleale".

"Il gruppo di contatto uva da tavola - hanno ribadito i rappresentanti italiani - deve avere l‘ambizione di affrontare in modo sinergico l'apertura dei nuovi mercati extra Ue in modo da creare delle regole di ingaggio comuni in termini fitosanitari e commerciali. Dobbiamo disinnescare la regola per cui nell'impostare le politiche di export ogni Paese si muove per conto proprio e invece per le importazioni da altri paesi fuori dall'Unione europea è la Comunità Europea che decide gli standard e le regole di ingaggio, spesso a svantaggio dei nostri produttori".

"Pertanto - la conclusione - dovremmo pretendere di realizzare come in import anche in export una politica comune in modo da avere una posizione più forte, visto anche la situazione attuale dei dazi tra Usa e Cina".

Copyright 2019 Italiafruit News