Agricoltura circolare, un miracolo da ripetere

Ecco perché è al centro del Manifesto dell’Ortofrutta: superate le 500 firme

Agricoltura circolare, un miracolo da ripetere
Potrà sembrare strano, ma che l’economia circolare sia la chiave di volta delle attività produttive di domani, agricoltura in testa, lo hanno capito fra i primi i colossi della moda. Il leader francese del lusso, ad esempio, Louis Vuitton Moët Hennessy (LVMH) è da tempo molto sensibile sul tema della sostenibilità, forse perché consapevole che dalla cura e dalla preservazione delle risorse naturali dipende il futuro della stessa azienda, poiché da lì provengono le materie prime da usare nella produzione. O forse perché gli operatori del lusso sono più attenti degli agricoltori ai mutati desideri di clienti, poiché vendono prodotti non certo di prima necessità, su cui la mancata rispondenza alle precise esigenze del cliente è causa di rapido fallimento. Lavorare sul filo del rasoio li ha certo abituati a sviluppare un fiuto particolare ai cambiamenti, tanto da anticiparli.

Nelle società del gruppo LVMH che operano nell’agroalimentare, infatti, il tema dell’economia circolare ha assunto un peso importantissimo: il gruppo ha cominciato già all’inizio degli anni Novanta un programma di diminuzione delle emissioni degli agenti inquinanti con le maison dello Champagne e ha proseguito nel tempo col resto delle attività nell’alimentare. Molto interessante, a questo proposito, è il progetto di un’altra società del gruppo, la distilleria Glenmorangie. L’azienda, infatti, ha deciso di ripristinare la barriera di ostriche che popolava la zona costiera intorno alla distilleria, nelle Highlands scozzesi, con l’obiettivo di migliorare la biodiversità e di depurare gli scarti del processo di distillazione.
Per rimanere all’alimentare, un esempio limite di azienda che punta con decisione verso l’economia circolare è Lavazza che ha presentato le Eco Caps, le sue prime capsule compostabili al 100% insieme al prototipo della prima tazzina completamente commestibile. Questa, detta anche cookie cup (tazzina biscotto), è insapore, è fatta solamente con cereali e può reggere una quarantina di minuti a contatto con il liquido caldo. La tazzina richiede pochissima energia per essere prodotta, come per fare un biscotto, e contribuisce così in modo significativo alla riduzione dei rifiuti dei bar, risultando perfettamente sostenibile.
Per arrivare, infine, al comparto ortofrutticolo, dove Chiquita è da tempo parte di Rainforest Alliance, organizzazione non governativa che ha lo scopo di unire lavoro e conservazione della biodiversità per garantire condizioni di vita sostenibili. Chiquita applica gli standard ricompresi nella certificazione Rainforest Alliance in tutte le sue aziende agricole di banane in Sud America.



Sul fronte della produzione, dunque, l’agricoltura circolare è una la possibile chiave evolutiva per il settore primario, perché permette di produrre in modo sostenibile e, di conseguenza, di rispettare l’ambiente, di migliorare la qualità della vita di tutta la popolazione e di ridurre gli sprechi, senza, però, impedire agli agricoltori di trarne profitto. Forse non tutti forse sanno che il primo esperimento di agricoltura circolare ha riguardato proprio i prodotti ortofrutticoli.

Siamo nel 1997 quando i biologi Daniel Janzen e Winnie Hallwachs prendono accordi con un produttore di arance del Costa Rica per scaricare circa 12.000 tonnellate di polpa e bucce, scarto della produzione del succo, all’interno della Guanacaste Conservation Area, nel nord del Paese. Sedici anni dopo lo studente Timothy Treuer, collaboratore del professor Janzen, si reca in avanscoperta nel sito che gli era stato indicato, ma non trova - apparentemente - niente. Lo sapete il perché? Quella montagna di bucce di arancia era sparita ed al suo posto è apparsa una fitta vegetazione, costituita da molteplici specie diverse, non presenti in precedenza.
I due studiosi hanno così pubblicato nel 2017 un interessante saggio su come le biomasse possano condizionare la crescita della vegetazione e combattere la deforestazione (Low‐cost agricultural waste accelerates tropical forest regeneration): la biomassa può infatti generare nuovi ecosistemi e anche la fauna può subire cambiamenti.



L’ecosistema è mutato completamente grazie ad un’esplosione vegetativa. Una foresta del genere è capace di assorbire enormi quantità di anidride carbonica presenti nell’aria. Se l’esperimento di agricoltura circolare di Janzen e Hallwachs venisse replicato su larga scala si otterrebbero due benefici ugualmente importanti. Da un lato, infatti, si potrebbero recuperare migliaia di tonnellate di scarti alimentari altrimenti giunti alla fine del proprio ciclo vitale. E poi, smaltendoli nei luoghi del pianeta in cui si sta verificando una forte deforestazione, sarebbe possibile ricostruire l’originario ambiente vegetale, offrendo un habitat ricco di risorse per molteplici specie animali.

Riutilizzare gli scarti delle lavorazioni agricole è un aspetto fondamentale dell’agricoltura circolare, in questo modo i beni disponibili possono essere usati in un nuovo modo alimentando il ciclo.
L’agricoltura circolare è oggi in vorticosa evoluzione grazie al progresso continuo della scienza e della tecnologia. Oltre che per la riforestazione, con il ruolo di ammendanti, gli scarti delle lavorazioni agricole possono essere impiegati per creare nuove materie prime rinnovabili, biodegradabili e a bassa tossicità per l’uomo e l’ambiente, come i biopolimeri e le bioplastiche, o per generare nuova energia, come i biogas.

La collaborazione attiva di tutti gli attori della filiera nell’ambito dell’agricoltura circolare ridurrebbe enormemente gli sprechi, con grande possibilità di riutilizzo delle materie seconde di essere riutilizzate e reimmesse nel ciclo, rendendo migliore l’ambiente e creando nuove opportunità sia di lavoro che di uso di nuovi materiali. Ciò è particolarmente vero sia nelle colture poliennali, come la maggior parte dei fruttiferi, che in quelle annuali, come le orticole.
La sostenibilità generata dall’economia circolare è, quindi, una condizione di sviluppo che ha l’obiettivo di soddisfare i bisogni contemporanei, senza però minare la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.



La sostenibilità è uno dei punti del nostro Manifesto dell’Ortofrutta. Oltre 500 operatori del settore lo hanno già sottoscritto: a chi non lo avesse già fatto rinnovo l’invito a firmarlo per invertire la rotta e dare all’ortofrutta un futuro di sviluppo.


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