«Packaging, ecco come si deve direzionare la ricerca»

L'intervento del direttore di Bestack dopo lo studio sulla permanenza del coronavirus sui materiali

«Packaging, ecco come si deve direzionare la ricerca»
Nell'edizione di ieri abbiamo pubblicato la notizia sui risultati preliminari di una ricerca americana focalizzata sulla permanenza del coronavirus sui materiali (clicca qui per leggerla). Un tema che investe il settore del packaging e su cui interviene il direttore del Consorzio Bestack, Claudio Dall'Agata. A seguire il suo intervento.

Caro Direttore,
lo scenario di questi giorni e le recenti dichiarazioni del prof Roberto Burioni su Medicalfacts sulla connessione tra virus e materiali rispresa dalla Sua newsletter, mi hanno stimolato una prima domanda e le successive riflessioni

Dove deve andare la ricerca?
Bestack nasce da una intuizione, dalla necessità di indirizzare e sviluppare la ricerca nel settore degli imballaggi in cartone ondulato nel settore ortofrutticolo in maniera strategica e coordinata. Si è così consolidato negli anni il rapporto con il Politecnico di Milano – Dipartimento di Chimica dei materiali con lo staff della prof.ssa Levi per indagare le modalità di miglioramento della sostenibilità dei processi e degli impatti ambientali, poi con l’Università di Bergamo con il prof Kalchschmidt del Dipartimento di Ingegneria Gestionale con la quale abbiamo analizzato l’ottimizzazione  dei processi nella supply chain dei freschissimi e dal 2011 con l’Università di Bologna – Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari con lo staff della prof.ssa Lanciotti per approfondire il rapporto tra imballaggio e ortofrutta confezionato al suo interno in termini igienico sanitari prima e poi di miglioramento della shelf life. Come ormai da qualche anno sa la filiera da questa ricerca ne è seguito il brevetto dell’imballaggio attivo.
Possiamo dire che ci abbiamo creduto ma certamente anche che siamo stati tempestivi e fortunati ad ottenere un brevetto che abbatte la carica batterica degli imballaggi presanificandoli con olii essenziali, che riduce lo spreco alimentare e che mantiene la frutta buona per più tempo, quando presso l’opinione sul tema della riduzione degli sprechi maturava nell’opinione pubblica una sensibilità crescente, si promulgavano leggi ad hoc, si indicevano premi e cambiavano i comportamenti di consumo. Quindi, presuntuosamente, bravi e ma soprattutto fortunati nel tempismo.



Ma chi fa ricerca non può e non deve cullarsi sui risultati raggiunti. Quindi occorre sempre spostare in avanti l’orizzonte della ricerca ispirati da ciò che sarà più necessario domani. Guardavamo lontano senza scorgere nulla all’orizzonte. Ci chiedevamo se i temi dell’etica e dell’equa e corretta redistribuzione economica e territoriale potessero essere l’elemento su cui ragionare senza però avere particolari ritorni. Poi in questi giorni ci siamo accorti che la terra che cercavamo all’orizzonte con il cannocchiale era, purtroppo, sotto i nostri piedi….
Il dramma dell’epidemia di cornavirus ha sconvolto prima la Cina, poi l’Italia e ora tutto il pianeta che, sul modo in cui affrontarlo, si è spaccato tra chi ha preferito politiche socio sanitarie coercitive a discapito dell’economia imponendo il distanziamento sociale - e quindi congelamento prima dei consumi interni, fermo produttivo e caduta dei fatturati - e chi ha invocato l’immunità di gregge sull’altare del buisiness first. “Non si è fatto solo nel 2020” si dirà tra qualche anno riferendosi all’appuntamento di turno o in casi più positivi “nel 2020 lo abbiamo posticipato”. Ma probabilmente il 2020 ci porterà anche l’idea del senso di incertezza, di inquietudine e di una profonda fragilità economico sociale dove tutto è globalizzato, dall’economia alla finanza, dai viaggi alle abitudini di consumo. Tutto a parte la governance di questo pianeta che proprio in nome della globalizzazione – come dice Cacciari – è diventato un grande paese ma dove la stessa governante è lungi dall’essere globalizzata e quindi coordinata ed in grado di avere una visione strategica di comunità coerente almeno di medio periodo.

Lo diceva Bill Gates nel suo discorso al Ted del 2015: “Quando ero un ragazzo, il disastro di cui ci preoccupavamo era la guerra nucleare… Oggi la più grande catastrofe possibile non è più quella. Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni è più probabile che sia un virus altamente contagioso”. Rifuggo dall’idea che quella profezia si tramuti oggi in realtà ma un fatto è certo, gli stati si sono dimostrati incerti, disuniti e improvvisati nella risposta e quindi inizialmente impreparati.

Sia chiaro il mio orizzonte di analisi e di responsabilità non ha nulla a che fare con lo scenario descritto ma credo però che dallo scenario si debba trarre ispirazione. Da qui sorge la mia domanda iniziale alla quale con difficoltà riuscivo a dare risposta ma che poi risposta trova partendo dalle emozioni che il periodo ha suscitato, cui seguiranno inevitabilmente una diversa lista di necessità, con priorità profondamente diverse rispetto a ieri.
Se per dirla con Bill Gates il missile di domani sarà un virus e oggi si vive nell’incertezza, dove il contatto sociale è un pericolo e i materiali e prodotti sono vissuti e valutati in base alla capacità di inibire la propagazione dei virus, allora la ricerca deve virare senza esitazioni verso innovazioni che garantiscano massimi livelli di igiene e salubrità con la consapevolezza da un lato che nella filiera alimentare il rischio zero non esiste ma al contempo è una colpa non scegliere strade che lo riducono anche di una piccola percentuale consapevoli che anche differenze di qualche ora per i prodotti freschi sono un regalo atteso e domani richiesto da parte dei consumatori.



È di ieri la notizia che sono disponibili studi americani che classificano i materiali di confezionamento per grado di inospitalità alle cariche batteriche e ai virus. Non è certamente il tempo di difendere il proprio orticello o di magnificare i colori dei propri petali. Non conta quindi la cura del proprio giardino ma l’implicazioni complessive che ne derivano. E’ rischioso e limitante concentrarsi sulle caratteristiche del proprio manufatto, occorre chiedersi quali implicazioni ha nell’utilizzo corrente, ognuno per sua parte. Così come la gara più interessante non è sottolineare chi corre più lento ma certamente molto di più allenare le gambe della ricerca per indicare traguardi di garanzia maggiore.

E si badi bene, poiché questo è un tema di grande interesse dell’opinione pubblica deve diventarlo anche della filiera per approfondirlo il prima possibile e farlo proprio al fine di poter rispondere adeguatamente, tentando per una volta e per quanto possibile di anticiparlo.
Nel nostro piccolo il cartone è già uno dei materiali meno ospitali per i virus e l’imballaggio attivo ne migliora le qualità. Infatti alcune delle sostanze usate, oltre ad agire contro batteri, lieviti e muffe, hanno secondo la letteratura anche attività antivirali. Certo il tutto deve essere approfondito. La tecnologia di attivazione che abbiamo sviluppato però si può già da oggi prestare per incrementare ulteriormente i livelli di sanificazione del preconfezionamento. Noi la nostra ricerca la orienteremo sempre di più su questa strada. L’auspicio è che dopo questo 2020, e i benedetti fiumi di euro donati dalle aziende per sanità e ricerca, ci sia maggiore attenzione da parte delle stesse aziende a prevenire la prossima incertezza orientando le future scelte strategiche per rendere disponibili reali benefici per ciò di cui abbiamo più bisogno e che oggi sono messa in discussione, per igiene e salute. Questa ricerca credo possa fare bene a tutti, spero anche in termini di ispirazione.


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