Adesso serve più coraggio

Il mercato stravolto dal coronavirus impone un cambio di prospettiva

Adesso serve più coraggio
Nulla è più come prima e forse come prima non tornerà mai più. Frequenze d’acquisto che si dimezzano e scontrini che raddoppiano, prodotti con consumi da tempo flettenti - come mele e patate - che macinano crescite vicine alle tre cifre settimana su settimana, mentre categorie di servizio, simbolo della modernità, risultano invendibili. Viviamo un cambiamento epocale di cui ancora non conosciamo bene né regole né orizzonte, ma ci ostiniamo a volerlo governare con i meccanismi di ieri. Se una categoria merceologica è all’angolo, come le insalate pronte al consumo, allora è il momento di fare una bella asta, se la domanda sale sotto la spinta del presunto effetto della vitamina C sul virus, come per le arance, allora è il momento di dare un “ritocchino” (per usare un eufemismo) ai listini; se piove e si fa fatica a raccogliere, è di sicuro venuto il momento di alzare il prezzo.

Cari amici, questi meccanismi andavano bene ieri, in tempo di pace, dove la miopia dell’adattamento tattico e della speculazione del momento procuravano qualche vantaggio immediato e, spesso, danni nel medio periodo ma non compromettevano la vita delle imprese e delle filiere, ne minavano solo lo sviluppo. Ne è testimonianza la crisi cronica della nostra ortofrutticoltura che dura da più di un decennio grazie alle scelte tattiche.



Ora però siamo in tempo di guerra, forse la guerra più difficile da combattere che le generazioni che popolano questo globo abbiano mai affrontato, perché pur non conoscendo bene il nemico siamo così stupidi da credere di poter ignorare le sue regole d’ingaggio. I macroscopici errori di approccio delle “grandi potenze”, a partire dalla Cina e ora gli Stati Uniti, ne sono la tangibile conferma. Ma tutti gli americani che se lo possono permettere ora preferiscono pagare sessantamila dollari a famiglia, tanto costerà provare a ridurre da un paio di milioni a duecentomila i morti con gli interventi messi in campo, "perché il rischio della recessione è futuro, quello di morte imminente", come scriveva ieri Antonio Polito sul Corriere della Sera.
La società e le famiglie hanno accumulato ricchezza in tempo di pace anche per proteggersi in momenti come questi. Oggi è già in atto un fenomeno di "coesione sociale" che redistribuisce ricchezza fra ricchi e poveri, fra giovani e anziani, che un comparto come il nostro, meno colpito di altri dall'emergenza, non può ignorare continuandosi a comportare come ieri. E' necessario cambiare prospettiva.
Scrivevo oramai un mese fa (qui il link alla notizia) che “occorre fare sistema mettendo a valore anche le relazioni orizzontali e non solo quelle verticali, superando i confini di principio fra canali lunghi e canali corti ..... E’ ora di sviluppare rapidamente relazioni operative efficienti per mantenere vivo il flusso degli approvvigionamenti utilizzando tutte le risorse disponibili”. Su questa lunghezza d’onda un bell’esempio - di cui abbiamo dato conto la scorsa settimana (clicca qui per leggere l'articolo) - ci viene da un gruppo di imprenditori di Vittoria, che propongono di calmierare i prezzi per tutto il mese di aprile grazie ad un accordo con la GDO, con il duplice obiettivo di mantenere alti i consumi e garantire la preferenza al prodotto nazionale.

Abbiamo di fronte a noi consumatori preoccupati, quando non spaventati, che guardano al futuro con ansia, se non con angoscia. Possiamo dare loro un po’ di tranquillità e speranza con un comportamento socialmente responsabile lungo tutta la filiera, che dimentichi le logiche di bottega del passato. Per noi sarà anche l’occasione per recuperare un rapporto incrinato negli ultimi tempi da offerta non sempre all’altezza delle promesse, polemiche ancora vive su salubrità e sfruttamento della manodopera, prezzi ritenuti a torto o a ragione troppo alti. Non sprechiamola, non ce lo perdoneranno.

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