Carciofi, il Violetto Ramacchese soffre la crisi

Al via la vendita alle industrie. Cupane: la colpa è dell'import selvaggio

Carciofi, il Violetto Ramacchese soffre la crisi
Un inizio d’anno da dimenticare per il carciofo Violetto Ramacchese. Il mercato (italiano ed europeo) non è ricettivo e neppure appagante. Così i produttori siciliani hanno cominciato, in largo anticipo, a destinare i primi capolini alle industrie di trasformazione del surgelato e delle conserve, vendendoli in questi giorni a 6-7 centesimi di euro l’uno. Un prezzo misero col quale le aziende tenteranno perlomeno di contenere le perdite.

Il Violetto Ramacchese sta soffrendo particolarmente la crisi di mercato causata dal Covid-19 (difficoltà degli Ortomercati e contrazione della clientela dell’Horeca) e dall’importazione di produzioni provenienti dal Nord Africa a prezzi bassissimi. I quali non permettono ai produttori siciliani di poter competere, come spiega a Italiafruit News Giuseppe Cupane, presidente della Cooperativa Violetto Ramacchese e consigliere dell’Op Rossa di Sicilia.

“Il mercato del fresco non garantisce soddisfazione ai produttori. Di conseguenza, quest’anno la campagna del carfiofino da industria è iniziata con un mese di anticipo rispetto al solito. Per i nostri soci, l’industria rappresenta una sorta di ultima chance per evitare di buttare al macero una parte delle raccolte, malgrado i prezzi di questo canale siano umilianti per chi produce”, sottolinea Cupane.


Violetto Ramacchese

Il motivo principale della crisi è l’importazione selvaggia da Tunisia ed Egitto, secondo il presidente della cooperativa. “Una questione strutturale che riguarda tutto il comparto del carciofo italiano, quindi anche altre tipologie. I capolini nordafricani giungono qui in Italia a prezzi di 15 centesimi l’uno, togliendo significativi spazi commerciali ai nostri prodotti”. La competizione non è equa dal punto di vista delle regole fitosanitarie e lavorative: “I produttori italiani devono garantire, giustamente, tutti i diritti ai braccianti e scongiurare il fenomeno del caporalato. Ciò comporta dei costi importanti che il mercato, purtroppo, non sta ripagando”.

Per quanto riguarda il carciofo romanesco, altra tipologia prodotta dalla cooperativa, la situazione commerciale è migliore ma c’è sempre l’offerta nordafricana a dare molto fastidio. “Noi stiamo riuscendo, con grande difficoltà, a spuntare prezzi soddisfacenti con il prodotto Extra e di prima qualità, venduto principalmente nel canale della Gdo. Parliamo di valori di 30-40 centesimi di euro per il socio. Il problema dell’annata è però l’alta incidenza degli scarti: la merce di seconda qualità, che il mercato fatica ad assorbire, pesa per oltre il 50% della produzione raccolta”.


 Romanesco

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