«Il caso Petti mette a rischio il pomodoro maremmano»

«Il caso Petti mette a rischio il pomodoro maremmano»
La frode che ha riguardato l'azienda Petti è il chiaro segnale che il pomodoro maremmano deve essere valorizzato ancora di più di quanto non sia stato fatto fino ad oggi”. Così Marco Neri, presidente di Confagricoltura Toscana, sulla vicenda che ha coinvolto l’azienda toscana che utilizza parte del prodotto da industria coltivato in Maremma. “Se confermato dalla indagini, il comportamento dell’azienda è assolutamente da stigmatizzare e mette ancora più in evidenza come l’aumento della domanda di questo prodotto renda necessario una maggiore valorizzazione, anche economica, del pomodoro maremmano. Il consumatore deve scegliere non solo in funzione del prezzo, ma della qualità. Se ci fosse una minore marginalità sulla distribuzione e commercializzazione forse riusciremo a tutelarlo ancora di più”.

In Toscana sono coltivati a pomodoro circa 2.000 ettari, il 50% dei quali in Maremma ed il resto tra le province di Livorno e Pisa e il Mugello. Per coltivarlo in provincia di Grosseto si spendono mediamente dai 5 ai 7mila euro per ettaro, con una resa di 850 quintali. “Se lo si pagasse, come avveniva nel 2017, 82 euro alla tonnellata, non sarebbe più conveniente la sua coltivazione. Con l’avvento di Petti, vi è stata una crescita del prezzo all’origine fino ai 105-120 euro e dunque ad una redditività più elevata, ma ancora non sufficiente a garantire i margini giusti per gli agricoltori. Spero - conclude Neri - che ipotesi di reato come quelle contestate alla azienda livornese non frenino e non pregiudichino in qualche modo la trasformazione toscana, perché si rischierebbe di interrompere una filiera importante per l’economia toscana e la sostenibilità economica e ambientale”.

Fonte: Confagricoltura Toscana