Slitta al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di export

Slitta al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di export
I consumi alimentari rallentano di nuovo. Con una crescita sui mercati internazionali che sposta dal 2020 al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di export indicato solo l'anno scorso per il sistema Italia. E' quanto emerge da Agrifood Monitor, la piattaforma informativa realizzata in partnership da Nomisma e Crif e presentata ieri a Palazzo di Varignana (Bologna), con l'obiettivo di offrire alle imprese italiane una bussola completa e aggiornata, oltre a benchmark di immediata comprensione a supporto dello sviluppo di efficaci strategie di marketing e di internazionalizzazione.

Dopo il modesto recupero nel 2015 (+1,1%), nei primi cinque mesi di quest'anno i consumi alimentari in Italia - in base a dati Nielsen - hanno registrato infatti un nuovo stallo (-0,2%). Mentre sui mercati esteri l'export agroalimentare nel primo trimestre è cresciuto appena dell'1,7%: troppo poco, secondo gli analisti di Agrifood Monitor, per raggiungere entro quattro anni il fatidico traguardo dei 50 miliardi.

Il sistema agroalimentare italiano, del resto, è penalizzato da problemi strutturali, come lo scarso dimensionamento delle imprese e la mancanza di catene della grande distribuzione nazionale all'estero, che limitano al 23% la propensione all'export delle aziende alimentari made in Italy, a fronte ad esempio del 33% raggiunto dalle aziende tedesche.

La filiera agroindustriale italiana, con 2 milioni di imprese, 3,8 milioni di addetti, 130 miliardi di valore aggiunto e 47 miliardi di export (dai campi agli scaffali, considerando anche la meccanica per il Food&Beverage) si conferma un settore chiave per l'economia nazionale, con potenzialità competitive ancora inespresse. Ma la concorrenza sempre più agguerrita sui mercati internazionali impone un cambio di passo. Per Andrea Goldstein, managing director di Nomisma, è necessario "investire di più sui mercati a più alto tasso di crescita, come quelli asiatici".

Le imprese agroalimentari italiane sono, infatti, troppo ancorate al mercato europeo, che continua a pesare per il 63% sul totale delle esportazioni di prodotti alimentari, per il 57% nel caso delle macchine agricole e per il 35% per quanto riguarda i macchinari del Food&Beverage. Secondo Goldstein, "dobbiamo aumentare la nostra presenza nei mercati extra-europei, dove attualmente il nostro export alimentare pesa per meno della metà di quello francese, o addirittura di un ottavo rispetto a quello statunitense".

Da qui l'obiettivo dei 50 miliardi di export, che sarà raggiungibile "se riusciremo a combinare la buona reputazione che i nostri prodotti vantano in giro per il mondo con strutture aziendali che promuovano una crescita accelerata". La conferma è arrivata da una survey presentata a Bologna e svolta sui consumatori di prodotti alimentari degli Emirati Arabi. Non a caso, gli Emirates rappresentano un mercato dove la quota dei prodotti italiani è ancora inferiore al 3% delle importazioni alimentari complessive, ma dove si stima che il reddito pro-capite passerà in dieci anni dagli attuali 40mila a oltre 53mila dollari.

"Gli Emirati Arabi - ha spiegato Marco Preti, ceo di Cribis D&B, la società del Gruppo Crif specializzata nella business information - sono una porta su tutta l'Asia sud-occidentale che apre grandi prospettive alle imprese italiane, e non solo in vista di Expo 2020. Ma la qualità dei nostri prodotti non basta per affrontare mercati lontani come quelli asiatici, se non si costruiscono rapporti commerciali e finanziari sicuri. E in questa direzione strumenti di informazione e analisi diventano un asset strategico". (rq)