«Coltivate la bellezza, è un ordine»

L’invito di Sgarbi a un settore dinamico per non perdere di vista l'obiettivo

«Coltivate la bellezza, è un ordine»
L’occasione dell’incontro del 30 novembre scorso, Coltiviamo bellezza, in una sala affollata di produttori del settore ortofrutticolo al Centro Congressi di Assago, non è stata certamente la prima e neppure l’ultima occasione di parlare della frutta e della verdura nella storia dell’arte.

Direi, anzi, con enfasi solo apparentemente eccessiva, che parlare d’arte vuol dire parlare di frutta e verdura. Essendomi fermato, nelle ore successive alla conferenza, con molti dei produttori o altri operatori del settore, a parlare o a firmare copie del mio libro, o a fare selfie, ho percepito il dinamismo, la varietà, la vivacità di questo mondo imprenditoriale, che ha seguito con attenzione la mia lectio magistralis, pur dal tema apparentemente così lontano dalla quotidianità del lavoro imprenditoriale. Apparentemente soltanto, però.



L’arte della retorica richiede che si trovi la strada, a volte tortuosa, per destare l’attenzione dell’uditorio, prima di entrare in medias res. Avrei potuto iniziare il mio discorso, invece che dall’aneddoto dell’asta del microfono, dalle mie esperienze amministrative, in particolare da Sindaco di Salemi, o da alcune delle mie tante battaglie in difesa della straordinaria ricchezza del paesaggio italiano, in cui ho inteso sempre sottolineare l’importanza della produzione agricola, ortofrutticola in tutte le sue naturali conseguenze, commerciali certamente, ma anche culturali. Ma l’inizio di una lectio, in un contesto non immediatamente contiguo al tema, è dettato dall’estro e dalla contingenza.

In ogni caso, il tema dell’incontro di Assago, è apparso quanto mai opportuno: “coltivare la bellezza” era il titolo, che riprende una mia espressione, spesso ripetuta, tesa a ribaltare la nota espressione di Dostojevski: non “la bellezza salverà il mondo” ma “il mondo deve salvare la bellezza.” E la prima bellezza da salvare è quella della natura e del paesaggio come impone anche la nostra Costituzione all’art.9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” 

Dovrebbe tutelare allo stesso modo, il paesaggio e il patrimonio artistico, dunque, la nostra Repubblica. “Coltiviamo la bellezza” dovrebbe essere dunque un invito, o un ordine: “Coltivate / coltiviamo la bellezza!” Quanto vado scrivendo, è ancora più lampante se si guarda alla storia della rappresentazione della frutta e della verdura nella storia dell’arte.



Frutta e verdura, nel corso della storia dell’arte, hanno sia un valore simbolico sia un valore di assoluto realismo. Esse rappresentano valori simbolici: si pensi al Melograno, che adorna Madonne con Bambino, oltre che, secondo la Bibbia, il Tempio di Salomone. Il melograno è simbolo di fertilità e abbondanza, suggello della alleanza tra Dio e l’uomo. Ma anche emblema dell’amore carnale sublimato nel Cantico dei Cantici: «come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo». E, infine, il melograno diventa centrale in uno dei racconti legati alla Passione di Cristo: il sangue che goccia dalle tempie del Cristo nella Salita al Calvario arrossa la ghiaia. L’apostolo raccoglie i sassolini macchiati e, nella notte, essi diventano chicchi di melograno.

Ma la frutta e la verdura hanno anche valore in se stessi, non rappresentando altro che ciò che sono, il ciclo della vita che si offre a noi nella sua abbondanza e che si mostra a noi nel suo ciclo naturale di vita e di morte, di fioritura e di fragilità.



Alla luce di questo, probabilmente, il dipinto più importante del ‘600, e comunque uno dei più importanti dipinti della pittura italiana, è la cesta di frutta di Caravaggio. Michelangelo Merisi già aveva dipinto (tra il 1593 e il 1594) un ragazzo con il cesto di frutta, dichiarando che lo stesso era l’impegno del pittore nel dipingere la figura umana e il cesto di frutta. Ma poco dopo lo stesso Caravaggio dipinge l’inaudito: toglie la figura umana e esalta il solo cesto di frutta. E lascia al cesto di frutta l’onere di dire tutto quello che serve: le foglie sono sul punto di appassire, i frutti sono bacati, la cesta sborda dal piano, in un'inquietante precarietà. Si sente il tempo che passa, ma senza valori simbolici. E' il tempo stesso che viene rappresentato, ma senza astrazioni: non il tempo come concetto, ma le cose che nascono fioriscono e muoiono: le cose della natura e degli uomini sono in bilico, nel tempo.

In questa prima natura morta c’è il senso profondo della vita e della minaccia della morte. E quindi c’è il senso profondo della pittura: il rapporto tra la storia vegetale e la vita degli uomini.



Sarebbe auspicabile, dunque, terminata con i due tomi dedicati al Novecento la mia storia e geografia dell’arte italiana (Il Tesoro d’Italia), un volume sulla frutta e verdura nella storia dell’arte, perché sfogliandolo si abbia la percezione di toccare qualcosa di molto vicino all’essenza della nostra vita.

Sarebbe un viaggio, in parte già iniziato il 30 novembre, tra i vasi greci, le pitture di Pompei, Caravaggio, Carracci, l’Arcimboldo, Crivelli, Brughel, Cotan, Bernini, Gauguin, Cezanne, Van Gogh, De Chirico a Ventrone.

Perché la vita di frutta e verdura è la nostra vita, è la fine del tempo che porta le cose ad andarsene da noi affinché la vita riprenda. E' un ciclo infinito: vita morte e resurrezione.

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