Fake news in tv, l'affondo di Federalimentare contro la Rai

Il presidente Vacondio: «Grandi investimenti pubblicitari, ma siamo le prime vittime»

Fake news in tv, l'affondo di Federalimentare contro la Rai
Anche l'ortofrutta si affaccia sempre di più alla pubblicità televisiva. Tra debutti e conferme, il piccolo schermo fa gola a grandi e piccoli brand: parlare direttamente col consumatore è l'obiettivo. Ma il consumatore, quando è davanti al televisore, rischia di essere bombardato anche da fake news che riguardano il settore alimentare. L'ortofrutta, poi, spesso e volentieri esce con le ossa rotte dai vari programmi tv.

E sulla correttezza delle informazioni fa sentire la sua voce Federalimentare. "Siamo quelli che spendono di più nella pubblicità, ma siamo le prime vittime delle fake news: sembra un paradosso, ma è così". Queste le parole del presidente Ivano Vacondio, riportate dal quotidiano ItaliaOggi.

Al presidente della Rai Marcello Foa è stato sottoposto un dossier sulla diffusione di fake news in campo agroalimentare. Un settore che, in termini pubblicitari, sborsa parecchio. Secondo i dati Nielsen, da gennaio a ottobre 2018, l'industria alimentare ha investito circa 725 milioni di euro. "Su un totale di quasi 5 miliardi investiti da tutti i settori in pubblicità - riflette Vacondio - fa quindi il 14,6% circa del totale".

Eppure il settore non è trattato coi guanti di velluto. "Succede che i programmi televisivi targati Rai ci massacrano di fake news - afferma il presidente di Federalimentare - Foa ha apprezzato la nostra richiesta di istituire un tavolo tra la nostra federazione e i responsabili di viale Mazzini. Nei servizi che abbiamo individuato si privilegia sempre un approccio bucolico, di ritorno al passato, di prodotti alimentari a km 0, preparati in casa, tralasciando o mal giudicando chi utilizza dell'utilità di un prodotto industriale che semplifica e riduce i tempi di un'alimentazione equilibrata. E spesso manca il contraddittorio, con esperti che criticano il cibo industriale, si danno informazioni parziali, selezionando i contenuti e minando così il rapporto di fiducia tra azienda e consumatore. Più volte le redazioni sono state contattate da nostri esponenti, ma il confronto ci è stato rifiutato".
La posta in gioco è alta, come dice Vacondio, perché "c'è la reputazione dei più grandi brand italiani, quelli che ancora investono in Italia, non solo nella pubblicità. C'è una filiera che viene danneggiata anche con una sola trasmissione, generando paure nei consumatori, con il crollo delle vendite di un prodotto. Chi si occupa del servizio pubblico radiotelevisivo, per questo, deve essere sempre attento ai messaggi che vengono lanciati dal piccolo schermo".

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