La megalopoli del pomodoro «bastona» l'Europa

Nel Sahara Occidentale un maxi insediamento marocchino esercita una concorrenza spietata

La megalopoli del pomodoro «bastona» l'Europa
Una "megalopoli" dedicata al pomodoro. E' quella che il Marocco ha impiantato nel Sahara Occidentale su un perimetro di circa 70 chilometri intorno alla città di Dakhla. La sua espansione, basata sulla coltivazione del rosso ortaggio (circa 80%) e meloni (circa 20%), è iniziata nei primi anni del 2000, favorita da condizioni climatiche ottimali - una media di 300 giorni di sole l'anno, il 30% in più rispetto alla regione marocchina di Souss Massa, dove si concentrava in precedenza la produzione - che consentono di anticiparne la coltivazione e la raccolta di 2-3 settimane "disturbando" ancora di più la produzione europea.


Esportazioni di pomodori marocchini nell'Ue, la progressione dal 2001 al 2019

Il re del Marocco Mohamed VI, insieme a cinque grandi gruppi imprenditoriali del Paese, ha messo in piedi una maxi struttura a spese - stando a quanto si legge nel rapporto presentato dall'Ong Mundubat e dall'organizzazione agricola spagnola Coag - della popolazione indigena Saharawi, esclusa dal progetto e degli agricoltori del vecchio continente che subiscono la concorrenza, crescente, di questa fetta di Africa. 

Le società stabilite a Dakhla nella maggior parte dei casi già operavano nello stesso settore in quel di Agadir; le loro filiali beneficiano dell'esenzione fiscale concessa dall'ex re del Marocco, Hassan II, a metà degli anni '70 del XX secolo. Il report, inoltre, mette in luce il mancato rispetto della tracciabilità e dell'etichettatura: il trasporto dei pomodori che arrivano da Dakhla avviene via terra, in camion fino ad Agadir, dove si mescolano al resto della produzione delle serre di questa regione.



Lo studio - cui Valencia Fruits ha dedicato un articolo - evidenzia anche molteplici irregolarità del macroprogetto agricolo che l'oligarchia marocchina sta portando avanti intorno a Dakhla, tra cui spiccano la violazione dei diritti fondamentali del popolo saharawi, la discriminazione sul lavoro nei confronti di questa popolazione, l'usurpazione delle loro risorse naturali locali come la terra e l'acqua e le frodi contro i consumatori europei in termini, appunto di etichettatura. 

Fatto sta che le importazioni di ortaggi dal Marocco sono cresciute notevolmente negli ultimi anni, nell'Ue.  Tra il 2001 e il 2019 i volumi sono balzati del 170% mentre la variazione in termini di valore è stata addirittura di 4,3 volte. Sempre nel 2019, il quantitativo di pomodoro marocchino entrato nell'Ue ha raggiunto il suo massimo con un totale di 481.669,04 tonnellate, secondo i dati ufficiali europei, oltre due volte e mezzo il volume del 2001 (187.428,14 tons). 

Colpisce soprattutto il forte trend di crescita degli ultimi anni: dal 2014 al 2015, in particolare, l'ingresso di questi pomodori in Europa è aumentato di oltre 100.000 tonnellate. Un balzo che non è legato a un aumento complessivo delle esportazioni mondiali marocchine ma a una maggiore attrattività delle spedizioni verso il mercato Ue dove arrivano infatti l'80% dei pomodori marocchini.



La pressione concorrenziale ha turbato i mercati comunitari provocando la perdita di redditività dei coltivatori europei che hanno di conseguenza ridimensionato le superfici: solo ad Almería, in Spagna, l'areale è crollato di 2.200 ettari in cinque anni.

Il progetto espansivo collegato alla "megalopoli" è solo all'inizio: il Piano Generation Green 2030 presentato da Mohamed VI nel febbraio 2020 sottolinea l'intenzione di raggiungere i 5.000 ettari di coltivazione nelle aree produttive del Sahara occidentale per quell'anno. Con buona pace dei produttori europei.

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