Moria del kiwi, in Italia oltre 6.500 ettari colpiti

Moria del kiwi, in Italia oltre 6.500 ettari colpiti
Quanti ettari sono stati finora colpiti dalla moria del kiwi in Italia? Una domanda che tanti addetti ai lavori si pongono e alla quale ha risposto ieri da Latina Francesco Spinelli, Professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (Distal) dell'Università di Bologna durante l'incontro "Moria del kiwi e stanchezza del terreno, l'importanza del microbioma del suolo", organizzato da Biolchim: “La sindrome della moria – ha detto – è stata osservata fin dal 2012 a partire dall'areale veronese. Tra il 2015 ed il 2018 casi di moria di sono riscontrati anche in Piemonte, Lombardia, Friuli. E a partire da 2019 c'è stato un rapido aumento dei casi in Lazio e, più recentemente, in Emilia-Romagna e Calabria".

“Alla fine del 2020 si è stimato che la moria interessava oltre 6.500 ettari coltivati, vale a dire circa il 26% della superfice coltivata a kiwi in Italia”. L'impatto economico sul comparto produttivo è devastante: "Ha già provocato la perdita di 242mila tonnellate di kiwi italiano, per un danno stimato di 228 milioni di euro l’anno, riguardante solo il mancato raccolto. Se si estende la valutazione all’intero indotto, i danni superano sicuramente il miliardo di euro".

Per comprendere come poter superare il problema serviranno ancora tanti anni, è stato detto in occasione dell’evento. Ma, intanto, dai primi 10 anni di ricerca si è scoperto che la moria è dovuta a una serie di fattori che lavorano in sinergia tra loro: ristagno idrico, anomalie nella struttura del suolo, squilibrio della comunità biotica e stress climatici. La causa non è però ancora nota. “Il ristagno idrico è il principale fattore scatenante della sindrome, ma non è l'unico. Questo può essere causato o dall'eccessiva o sbagliata irrigazione o da precipitazioni concentrate nel tempo in periodi di scarsa evotrasprirazione o di elevato fabbisogno respiratorio delle radici”, ha precisato Spinelli.

“Ciò che manca oggi è un vero coordinamento dell’attività di ricerca a livello nazionale. Sarebbe molto interessante avere un protocollo comune su come fare e valutare gli esperimenti, nonché su come misurare la moria. Fino a quando noi enti di ricerca avremo diversi sistemi di raccolta e di analisi dei dati, faremo fatica a trovare risposte". Un aspetto decisivo, quello del coordinamento, che ha messo in luce anche Lorenzo Tosi, dottore agronomo del Centro Studi Agrea di Verona: “Sono necessari molti anni di studi e sperimentazioni sostenuti da un team multidisciplinare e ben coordinato, per comprendere come i diversi fattori agiscono e le diverse relazioni. Occorre studiare l’interazione tra tre elementi: clima, pianta e mondo microbico. Solo così si potrà arrivare a determinare un protocollo di coltivazione che sia risolutivo nei confronti della moria”.

I produttori italiani, al momento, possono agire sulla prevenzione. “Quando si vedono i primi sintomi sulla chioma è già troppo tardi, dal momento che l’actinidia è una pianta che riesce a non mostrarsi sofferente anche quando ha il 65% dell’apparato radicale compromesso – ha spiegato ancora il Prof. Spinelli dell’Università di Bologna – Curare la moria è impossibile, mentre si può prevenirla. Come? Nel breve termine i produttori dovrebbero: migliorare la strategia dell'irrigazione, creare un sistema per irrigare in relazione ai fabbisogni della pianta, migliorare la fertilità dei suoli e le caratteristiche fisiche, nonché usare strategie rispettose della biodiversità (micorrize, tricoderma, bioregolatori, biofumiganti e consociazione)”.

"Le corrette pratiche agronomiche fin qui adottate (lavorazione attenta dei suoli, buon contenuto di sostanza umificata, apporto di microrganismi, baulature e attenta gestione dell'acqua) hanno una influenza positiva nel prevenire la moria, ma non sono una garanzia sicura. Ecco perché è fondamentale intervenire prima della comparsa dei sintomi fogliari, facendo scavi per monitorare con attenzione e costantemente le radici. Le quali manifestano i sintomi 2-3 anni prima delle foglie” ha aggiunto Tosi nel ricordare che il Veneto, dal 2012 ad oggi, ha ridotto del 50% le sue produzioni di kiwi. “Recentemente anche gli areali di Treviso e Venezia, caratterizzati da terreni sabbiosi, hanno registrato una esplosione di casi di moria, a dimostrazione che la sindrome si può manifestare su tutti i tipi di suoli”, ha concluso il dottore agronomo del Centro Studi Agrea.

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