Covid, ecco quanto ha influito sui cassieri

Covid, ecco quanto ha influito sui cassieri
Sono stati in prima linea, ma senza avere la missione, o la pur minima preparazione delle altre categorie che durante i mesi più cupi della pandemia sono state nella stessa posizione, e cioè le professioni sanitarie. Cassieri, commessi e magazzinieri dei supermercati hanno condiviso però con medici e infermieri un inedito livello di stress. Se per misurare il livello di burnout si valutano tre elementi (fatica/esaurimento, indifferenza/cinismo, calo dell’efficacia professionale) il 42 per cento dei dipendenti dei supermercati ha avuto alti punteggi su due parametri, mentre il 31 per cento alti livelli su tutti e tre. Significa che il 73 per cento dei dipendenti dei grandi magazzini alimentari, durante l’inizio della pandemia e il lockdown, ha sopportato una sofferenza psicologica «severa», o comunque importante.

L’indagine
I risultati sono contenuti in uno studio del Dipartimento di psicologia dell’università Bicocca (lo firmano Roberta Valtorta, Cristina Baldisarri e Chiara Volpato). La ricerca, appena pubblicata, si riferisce al periodo dell’esplosione della pandemia, la prima ondata, ma offre spunti anche all’attualità: sia riguardo al cambio delle regole sull’uso della mascherina, sia più in generale alle condizioni di lavoro nei supermercati. Si tratta di una ricerca (uscita sul Journal of community & applied social psychology) innovativa per una serie di aspetti.



L’emergenza salute mentale
Lo studio mette infatti in relazione lo sviluppo del burnout sia con gli aspetti organizzativi e relazionali sul luogo di lavoro, sia con la percezione di «deumanizzazione» (dunque direttamente su ciò che definisce la dignità del lavoratore). E poi esplora un settore della società (i dipendenti dei supermercati, appunto) che finora era stato trascurato dalle ricerche sulle conseguenze psicologiche della pandemia, che si sono concentrate, nella stragrande maggioranza dei casi, sulle professioni sanitarie. «Si può sostenere — è scritto nelle conclusioni — che l’esplosione del coronavirus ha generato un’emergenza per la salute mentale in questo gruppo di lavoratori».

Il burnout
Più nello specifico, spiega Roberta Valtorta, «abbiamo riscontrato che gli aspetti più legati all’oggettivazione (sentirsi come strumenti, ndr) sono legati al carico di lavoro, mentre l’ambiente di lavoro ha avuto un impatto più forte sull’esaurimento. Il supporto o meno dei colleghi e dei superiori, aspetti dunque relazionali, è invece più collegato all’altra dimensione del burnout, il cinismo, ovvero indifferenza o percezione scarsa efficacia».

L’impatto
Esiste poi un altro livello di interazioni, quelle tra lo stress e la «deumanizzazione», che si può articolare in due aspetti. «Uno è quel che si definisce “biologizzazione” — continua la studiosa — e cioè la sensazione di percepirsi o sentirsi percepiti dagli altri come portatore di malattia, veicolo di contagio. I lavoratori che hanno interiorizzato di più questa sensazione hanno punteggi che indicano un livello di stress più alto. L’oggettivazione è l’altro aspetto, che si può definire come negazione di umanità, la sensazione di essere considerati come strumenti: è un aspetto correlato ai carichi e gli orari di lavoro, dunque alla fatica, all’esaurimento come indicatore di stress».

Il precariato
Ad aggravare la condizione psicologica degli impiegati nei supermercati sono stati ad esempio anche i contratti, con molte storie di lavoratori con precari o part time che si sono trovati catapultati in turni e orari raddoppiati da un giorno all’altro. Al termine del questionario era stato lasciato uno spazio aperto per le note e le osservazioni. Molti lavoratori, in particolare i cassieri e le cassiere, che si trovavano di continuo a contatto con il flusso dei clienti, e dunque con la costante paura di essere contagiati o diventare veicolo di contagio per le proprie famiglie, hanno espresso forte disagio. Una cassiera ha scritto: «Mi sento trattata come se fossi una parte della cassa».

Fonte: Corriere della Sera