«Ortofrutta, basta messaggi ambigui»

Tomato Revolution: da Altromercato un modello anche per le altre filiere

«Ortofrutta, basta messaggi ambigui»
Le vere rivoluzioni partono sempre dal basso, dicono. Da gesti - anche piccoli - e da iniziative che mettono in moto una rinnovata consapevolezza e stimolano ad essere seguite. Altromercato - la principale realtà di commercio equo e solidale italiana, 34 milioni di fatturato, 87 soci e 225 punti vendita in 74 provincie in Italia - ci prova con la Tomato Revolution: un modello per creare una filiera del pomodoro trasformato ad alto impatto sociale e a basso impatto ambientale.

Gli ingredienti sono una produzione 100% made in Italy, biologica, sostenibile, trasparente, ma soprattutto legale perché caporalato free. Fanno parte di questo progetto due principali produttori: Rinascita e Prima Bio, che si trovano, rispettivamente, nel Tavoliere delle Puglie e nel Parco delle Madonie in Sicilia.


La Tomato Revolution ha già permesso a 40 braccianti e a 20 dipendenti aziendali di trovare lavoro presso la cooperativa agricola biologica Prima Bio. Mentre 150 sono gli ettari di terreno del feudo Verbumcaudo sottratti alla mafia e restituiti alla collettività da Giovanni Falcone. Si tratta di un antico feudo delle Madonie ubicato nel territorio di Pozzi Generosa e oggi gestito e coltivato in biologico dalla Società Cooperativa Sociale Verbumcaudo in collaborazione con Rinascita.

In questi terreni sono coltivate cinque diverse specie di pomodoro: Siccagno, Tondo Roma, Ciliegino, Datterino e Delfo. Da questi si ricavano salse e sughi, che piacciono a tanti... ma non ai caporali, come dice Alessandro Franceschini, presidente di Altromercato.



Franceschini, con i consumi che si raffreddano, la distribuzione tende a rispondere con la convenienza, con lo sconto, con il risparmio. Ma questa è l'unica strada?


Bisogna stare attenti al tema del prezzo al consumo, perché dietro a certi valori spesso si nasconde lo sfruttamento delle persone e dell'ambiente. Dietro la formazione dei prezzi ci sono tante contraddizioni. La Gdo vuole mettere un argine ai rincari, difendere i consumatori... ma questa dinamica rischia di scaricarsi sui produttori. Niente di nuovo, succedeva anche prima, ma mi fa impressione come certe catene che hanno fondato il loro successo sulla qualità ora stiano cavalcando il messaggio del risparmio. E' vero che il potere di acquisto dei consumatori è in calo e il tema prezzi è centrale, tanto che i discount stanno crescendo. Ma sono convinto che la leva del prezzo basso non sia quella giusta: questa è l'occasione per ragionare insieme ai consumatori, rendendoli consapevoli che quando comprano pomodori a prezzi stracciati nelle catene, anche se hai la percezione di fare un affare, c'è qualcun altro che ci ha rimesso. E' il momento di responsabilizzare.



Davanti a una situazione economica difficile, il rischio di prendere scorciatoie è sempre dietro l'angolo. E la filiera del pomodoro trasformato lo sa bene...


Abbiamo visto cosa si cela dietro la corsa al ribasso della passata di pomodoro: caporalato. Prima o poi i costi si scaricheranno sui prezzi finali: chi ha cercato di far pagare alla filiera l'aumento dei costi non potrà permettersi di produrre a lungo sottocosto. A queste condizioni si può giocare una singola partita, non l'intero campionato. E noi vogliamo un campionato con un mercato e consumatori responsabili.

Sfruttamento del lavoro, caporalato sono fenomeni che anche l'ortofrutta per il mercato del fresco conosce bene. Si certifica la sostenibilità ambientale, ma non credete sia il momento di spingere - anche in comunicazione - su quella sociale?


L'equazione che sostenibilità significhi prodotto green è molto diffusa. Ma la vera sostenibilità non può prescindere dagli aspetti socio-economici. Adottare comportamenti virtuosi lungo la filiera, dai pannelli fotovoltaici sui capannoni alla piantumazione di aree verdi, senza però toccare la produzione in campo e le condizioni dei lavoratori, lasciatemi dire che è un comportamento strumentale. Basta messaggi ambigui: un prodotto è sostenibile se viene rispettato l'ambiente ma anche le persone e tutte le tematiche sociale. E' parziale impegnarsi per combattere il climate change se poi non si rispettano gli altri criteri fissati dall'Onu.



Torniamo alla Tomato Revolution. Perché lanciarla ora?

Vogliamo accompagnare i consumatori, soprattutto nelle nostre botteghe e nelle catene distributive che hanno i nostri prodotti, nel comprendere le dinamiche che ci sono sulla filiera del pomodoro, gli stessi meccanismi che trent'anni fa vedevamo nelle filiere coloniali. Dinamiche ad alto impatto ambientale e basso impatto sociale. Ecco perché vogliamo costruire una filiera alternativa rispettosa di tutti gli anelli. Da questo abbiamo cercato produttori che operassero su terre confiscate alla mafia, in territorio difficili, cercando alternative e dando loro spazi di mercato. Capovolgere la filiera per rivoluzionare il pomodoro.

Può diventare un modello anche per altre filiere?

Di fatto lo è già. Lo stiamo sperimentando anche sul fresco. Insieme ad Esselunga, per esempio, abbiamo un progetto dedicato all'uva da tavola. Stiamo cercando di sviluppare delle filiere mutuando il meccanismo del commercio equo solidale tradizionale sulle filiere italiane. Un altro progetto riguarda l'avocado coltivato in Sicilia. Un modus operandi che contiamo di estenderlo, dando spazi commerciali a soggetti che lavorano con questi valori: dal pomodoro all'olio di oliva, fino alla frutta fresca. Possono essere tutti simboli contro lo sfruttamento sul mercato.

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