«Dimentichiamo di essere un Paese agricolo»

Siccità, Boccaletti: «La soluzione? Creare un sistema di licenze dinamico»

«Dimentichiamo di essere un Paese agricolo»

Il tema è complesso e la situazione è grave. Cinque regioni sono state dichiarate in stato di siccità (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto) e anche in Toscana si sta alzando sempre di più il livello di allerta per la scarsità d’acqua, la risorsa più preziosa dell’agricoltura.

Ne abbiamo parlato con l'esperto in materia Giulio Boccaletti, laureato in fisica dell’atmosfera, ricercatore onorario associato presso la Smith School di Oxford ed autore di "Acqua. Una biografia".

Professor Boccaletti, quanto stiamo rischiando da un punto di vista idrico?

Parecchio, perché non ci stiamo rendendo conto che questa è la nuova normalità. Eventi che ci sembrano inconcepibili diventano sempre più possibili e ci ritroviamo a vivere un’estate più siccitosa della media. Anche le precipitazioni invernali sono state scarse, e quel poco di acqua che c’era nei fiumi è evaporato più velocemente a causa delle temperature elevate.


Il vero problema però è un altro…

Sono le nostre infrastrutture. 30 km di cuneo salino che risale il Po è dovuto al modo in cui utilizziamo la risorsa. Se non piove non è colpa nostra, ma la scarsità d’acqua sì, perché dipende da come la gestiamo. Non basta ridurre gli sprechi in ciascuna abitazione o tagliare le perdite delle reti urbane, la soluzione non è lì. In tutto ciò, fuori dal dibattito rimane l’agricoltura e quanto l'acqua sia essenziale.

Gli impianti di dissalazione dell’acqua possono mitigare la siccità?

Assolutamente no. Tipicamente ora il costo di un metro cubo di acqua irrigua è di 1 o 2 centesimi. Se si utilizzasse un dissalatore aumenterebbe fino a 1 o 2 euro e nessun produttore potrebbe permetterselo. Avrebbe senso forse per grandi impianti industriali vicino alle coste ma non per le coltivazioni perché non sarebbero economiche. Quello che amministratori nazionali e locali devono capire è che il nostro è un Paese agricolo ed è il primo da salvaguardare. Siamo anche fortunati, perché non siamo la Giordania o Israele che hanno problemi di quantitativi di acqua, in Italia infatti cadono circa 300 miliardi di metri cubi all’anno di acqua. Si tratta solo di imparare a gestirla per i momenti di crisi.


E come si può fare?

Bisogna partire dalla sua distribuzione perché è importante assicurarsi che la produttività dell’acqua sia più alta possibile. Ad esempio, un terzo dell’acqua irrigua è utilizzata per il riso, ma se l'acqua è più produttiva per chi coltiva pesche e ciliegie è utile trasferirla dal riso alla frutta. In questo modo si crea un sistema di licenze dinamico già esistente in Australia. Inoltre, per aumentare la produttività dell’acqua si può irrigare con metodi che la portino direttamente alle radici della pianta. Per ultima cosa, ma non meno importante: investiamo in infrastrutture come dighe e invasi.

Gli invasi sono sufficienti o il cambiamento climatico rende obbligatorio spostarsi su colture che chiedono meno acqua?

Nulla basta da solo. Bisogna agire su entrambi i fronti. Sicuramente le colture dovranno essere meno idrovore e adattarsi, anche se come ancora non lo sappiamo. È abbastanza ovvio però che il panorama produttivo potrebbe subire dei cambiamenti. Io non sono un agronomo, ma la California era un deserto e in seguito ai giusti investimenti è diventato un terreno fertile. Il rischio adesso in Italia però, è che non ci sia abbastanza capitale per cambiare le varietà e investire in adeguate strutture e pratiche agricole.

Negli anni l’uomo ha perso il contatto con l’acqua dandola per scontata per l'elevata e comoda fruibilità. Come si può ristabilire un rapporto più attento?

Tentando di educare i cittadini. Pensiamo che la risorsa sia sempre più accessibile ma non lo è. Ci siamo allontanati dalla viabilità naturale dell’acqua e ogni volta ci sorprendiamo se si parla di siccità. Serve un grande impegno politico per cambiare le cose: l’attenzione c’è, ma sulla chiarezza di ciò che serve siamo ancora in alto mare. 

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