NIENTE AGGREGAZIONI, PATATA VERONESE SENZA TUTELE E PROMOZIONE

NIENTE AGGREGAZIONI, PATATA VERONESE SENZA TUTELE E PROMOZIONE
Nel Veronese c'è la terza piazza italiana, quanto a quantità prodotte, per quanto riguarda le patate. Che una delle vocazioni produttive dell'area che ha come baricentro Cologna fosse quella delle patate era cosa nota. Anche perché proprio questo tipo di coltura qui ben si sposa, quanto a tempi e modalità di sfruttamento del terreno, con la coltura del radicchio. Meno noto, però, era il fatto che ad oggi possono considerarsi come naufragati tutti i tentativi di creare forme di tutela e promozione del tubero colognese.

Già alla fine degli anni Ottanta si era iniziato a parlare di consorzi di tutela, disciplinari di produzione volti all'ottenimento di certificazioni di origine e di borse in cui produttori e commercianti stabilivano assieme le quotazioni di riferimento per un'area di produzione che, allora come oggi, copre il Colognese e le zone limitrofe del Vicentino e del Padovano.

"Evidentemente qui manca uno spirito cooperativistico", spiega però il presidente della Coldiretti di Cologna Lorenzo Branco, "tanto che i produttori non hanno mai fatto squadra e la Dop, la denominazione di origine protetta, non è mai arrivata, mentre la borsa si è sciolta dopo che la Camera di commercio aveva affermato che non poteva stabilire prezzi ufficiali".

Eppure a oggi a Cologna e nei Comuni vicini, su un area di circa mille ettari, vengono prodotti 500 mila quintali di patate a stagione, con un giro d'affari che lo scorso anno è stato stimato sui 15 milioni di euro. Mentre le zone più forti in Italia sono Napoli, con 2 milioni di quintali prodotti, e Bologna, con 1,3 milioni.

"È chiaro che qui gli agricoltori hanno un rapporto diretto con i commercianti e che non sentono la necessità di consorziarsi fra di loro", sottolinea l'assessore all'agricoltura di Cologna Laura Branco, mentre il responsabile per il Colognese della Coldiretti Alberto Trentin dice che "è difficile mettere in piedi nuove filiere commerciali e che è preferibile puntare su contratti che garantiscono prezzi minimi di vendita". La terza forza della pataticoltura italiana, insomma, pare essere destinata a restare senza voce.

Fonte: L'Arena