Coltivare frutta e verdura in mare? «E' possibile»

Coltivare frutta e verdura in mare? «E' possibile»
Arare e coltivare il mare: la tecnologia è riuscita a trasformare l'impossibile in realtà. Sono progetti ancora sperimentali, quelli che l'Università Bicocca di Milano ha raccolto in visto dell'Esposizione universale del 2015. Ma dimostrano che il mondo della scienza e dell'agricoltura è all'opera per risolvere un problema: dove si coltiverà il cibo per i 9 miliardi di abitanti che calpesteranno il pianeta entro il 2050, il 50% in più di quelli attuali, se la superficie agricola mondiale non può essere aumentata allo stesso ritmo con cui bisognerà far crescere la produzione di cibo, ovvero del 70%?

La risposta: sull'unica superficie ancora non toccata da aratro. Il mare, per l'appunto. L'idea di Idrees Rasouli, ricercatore londinese dell'Innovation design engineering, è un sistema di zattere ancorate sotto costa per lo sviluppo di un tipo di coltivazione detta idroponica, ovvero fuori dal suolo. Il sistema è modulare, si alimenta con l'energia solare, il calore del mare e la raccolta di acqua piovana.

Obiettivo di Rasouli, che è anche amministratore delegato della startup che sviluppa il progetto, X-Crop, è diffondere il sistema nelle aree urbane affacciate sul mare, con vantaggi che vanno dal basso costo della superficie occupata (cinque volte inferiore a quella di un terreno agricolo vicino alla città) alla possibilità di trasportare il cibo via mare direttamente alle industrie di trasformazione, senza spese di logistica.

Il progetto ha già trovato uno sponsor: la stessa università Bicocca, che sperimenterà il sistema galleggiate nel centro di ricerca Mahre sull'isola maldiviana di Maghodoo, a cui lavora Paolo Galli, ricercatore del dipartimento di biotecnologie e promotore del piano.

E proprio dalle Maldive arriva la seconda esperienza di agricoltura non convenzionale. In questo caso gli ortaggi sono ben piantati per terra, ma pur sempre su quella di una piccola isola dell'atollo di Baa, Marikilu, al largo dell'Oceano Indiano.

È qui che nel 2007 Shahida Zubair ha avviato una fattoria di prodotti ortofrutticoli (di cui è direttore generale), immaginando un futuro di sviluppo per l'isola e un'agricoltura sostenibile per le famiglie dell'arcipelago, tanto che spesso invita a Marikilu gli abitanti degli altri atolli per mostrar loro il suo piccolo miracolo e insegnare ad avviare un orto in proprio.

Sfruttando al massimo lo spazio, sovrapponendo ortaggi e frutteti, Shahiba è riuscita a trasformare un fazzoletto di terra in una fattoria che produce frutta e verdura di ogni tipo, innaffiate con l'acqua dei monsoni e protette con pesticidi naturali. Il pericolo però è un altro: il tandem politica-edilizia, che ha messo gli occhi su Marikilu per affari. Così ora Shahida deve difendere il suo giardino dalle mire di chi vorrebbe farne appartamenti e resort.

Fonte testo e foto: Il Giorno di Milano