Lobbying, cultura aziendale, collaborazioni di filiera

Tre parole chiave per garantire un futuro roseo all'ortofrutta Made in Italy

Lobbying, cultura aziendale, collaborazioni di filiera
Il primo spot della campagna Mise-Mipaaf-Ice "The extraordinary Italian taste" per gli Stati Uniti non considera l'ortofrutta fresca italiana. Non mi meraviglio più di tanto. L'Italia punta a fatturare con l'esportazione di prodotti alimentari circa 50 miliardi di euro entro il 2020, contro gli attuali 34. Questo traguardo è immaginabile perché ci sono comparti della trasformazione agro-alimentare oggi sottoperformanti come quelli della pasta (2,2 miliardi di euro), dei prodotti lattiero-caseari (2,5 miliardi) e delle carni preparate (1,4 miliardi) – proprio quelli dello spot – che con l'apertura di nuovi e importanti mercati mondiali potranno toccare tassi di crescita incredibili lavorando sui concetti legati all'italianità che i presenti al nostro evento Mark Up di Milano hanno potuto ascoltare. Per la cara ortofrutta fresca ed essiccata, che oggi pesa 4,4 miliardi di euro, sarà quindi molto difficile mantenere l'attuale posizione in classifica che la vede seconda solo dopo al vino (5,5 miliardi). Dopotutto, il Ministro Maurizio Martina non si presenta da anni alle fiere di settore e in tutti i suoi interventi pubblici e televisivi ci tiene sempre a sottolineare che "ITALIA È UN PAESE DI TRASFORMATORI". Come contraddirlo?

Ma, allora, che cosa dovrebbe fare il nostro settore?

1) Programmare, gestire e valutare una REALE E SERIA AZIONE DI LOBBYING che sia stimolata direttamente dalle aziende ortofrutticole più grandi e affermate. L'esempio positivo ci viene dal settore della mela: Assomela, l'Associazione Italiana Produttori di Mele, ha voluto partecipare nelle scorse settimane ad un'audizione di Greenpeace al Parlamento Europeo facendo valere le sue ragioni nei confronti dell'attacco portato recentemente dall'Ong ambientalista al settore melicolo europeo e prendendo inoltre contatti informali direttamente con i responsabili di Greenpeace: la piena apertura verso una problematica è sempre ben vista e valutata. 

2) Acquisire una nuova cultura aziendale per interpretare i cambiamenti. Le spedizioni di ortofrutta fresca ed essiccata sono praticamente ferme dagli anni Duemila. Se la strategia odierna è puntare sull'esportazione a fronte dei consumi interni stagnanti, allora bisogna fare tanti passi in avanti. Basti pensare che il settore del vino italiano si sta interrogando in questi mesi sulla necessità di INVESTIRE SULLE PERSONE. Dall'indagine Wine Monitor-Wine Meridian di Nomisma emerge infatti che le aziende vitivinicole italiane, soprattutto quelle più piccole (fino a 7 milioni di fatturato), avrebbero bisogno di dotarsi di nuovi professionisti – export manager e profili legati alla comunicazione, al marketing, alle risorse umane, ecc. – per interpretare con velocità ed innovazione i mercati. Solo nelle aziende vitivinicole con oltre 40 milioni di fatturato sono presenti le funzioni necessarie per l'estero. Non pensate che anche noi, come settore ortofrutticolo, dovremmo pensare a cambiare qualcosa?

3) AVERE CORAGGIO e ricercare nuove collaborazioni di filiera tra i migliori produttori italiani di ortofrutta fresca ed i trasformatori italiani con brand riconosciuti all'estero, per beneficiare innanzitutto del maggior potere commerciale di questi ultimi nella catena del valore e, in secondo luogo, della loro presenza internazionale. Non bisogna dimenticare che considerando l'intero comparto – fresco e secco (13%) e trasformato (9%) – l'ortofrutta è la regina dell'export italiano Made in Italy, con il 22% di quota rispetto al 16% del vino: è questo il dato da comunicare al pubblico medio; è l'unione che fa la forza.

Tre semplici ma grandi passi per "stare sul pezzo" e cercare di garantire un futuro migliore anche ai produttori italiani.

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