Ogm, l'Italia ridice no al Comitato d'appello Ue

Al voto per l'autorizzazione a tre nuovi mais ennesima spaccatura tra i Ventotto

Ogm, l'Italia ridice no al Comitato d'appello Ue
Il Comitato d'appello Ue convocato ieri per decidere su tre mais Ogm (Organismi geneticamente modificati) ha visto la spaccatura tra i ventotto Paesi membri, incapaci di raggiungere la maggioranza necessaria ad approvare o respingere la richiesta di autorizzazione. Risultato che peraltro ricalca quello del Comitato permanente Ue per piante, animali, alimenti e i mangimi (Paff) del gennaio scorso. Ora toccherà alla Commissione assumersi la responsabilità di compiere la scelta e decidere se dare o no il via libera.

La notizia, ma non è una novità, è la seguente: l'Italia ha votato contro le autorizzazioni agli Ogm. Beatrice Lorenzin, Maurizio Martina e Gian Luca Galletti, rispettivamente ministro della Salute, delle Politiche agricole e dell'Ambiente, hanno concordato una posizione comune conforme alla linea dell'Italia, che ha già vietato la coltivazione degli Ogm.

Secondo la Coldiretti, il no del Governo italiano risponde a quanto chiedono quasi otto cittadini su dieci (76%) che si oppongono alle biotecnologie nei campi. “Per l’Italia - ha detto il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo - gli Ogm in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale ma, soprattutto, perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del Made in Italy”.

Viceversa, su Il Foglio del 24 marzo, Roberto Defez dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli ricostruisce i fatti in altro modo. Partendo dalla direttiva 412/2015 quando, per la prima volta, l’Europa si è spogliata di una prerogativa delegata a Bruxelles da tutti gli stati nazionali, consentendo a ogni Paese membro di vietare la coltivazione di ogni tipo di Ogm, anche in assenza di prove di possibili danni sanitari o ambientali. Così, 19 stati aderenti hanno recuperato la sovranità sulla coltivazione di Ogm. “L’Italia - scrive Defez - da tempo si è spinta ben oltre, impedendo non solo agli agricoltori, ma anche ai suoi scienziati di fare il loro lavoro, ovvero sperimentare Ogm in campo aperto per capire, conoscere e magari salvare nostre piante in via di estinzione”.
E una ventina di giorni più tardi (il 22 aprile 2015, ndr) l’Unione Europea ha offerto agli Stati anche la possibilità di decidere se vietare o proseguire l’importazione di derrate Ogm. Opzione che, però, nessuno dei 28 Paesi ha chiesto di esercitare a livello nazionale, ben sapendo che senza mangimi Ogm semplicemente la zootecnia europea non esisterebbe. “Latte e formaggi, carni e salumi, anche dei nostri prodotti Dop e Igp, dipendono dal massiccio uso di mangimi Ogm – continua Defez - Nessuno stato ha voluto esporsi elettoralmente e autorizzare l’importazione di mangimi Ogm, usando l’Unione Europea per fare un lavoro necessario ma ingrato. L’Italia importa e consuma ogni giorno, 365 giorni l’anno, diecimila tonnellate di soia Ogm e l’87% di tutti i mangimi venduti in Italia contiene Ogm. Senza che i consumatori finali siano informati con apposite etichette sugli alimenti. Ossia se un derivato di un Ogm è coltivato all’estero è buono per fare un prodotto tipico italiano, se invece fosse coltivato da un agricoltore italiano no”.

Insomma, il divieto all’innovazione sugli Ogm e l’importazione di alimenti e mangimi contenenti Ogm stanno mettendo in ginocchio la nostra agricoltura. Perché, dalla risicoltura della Pianura padana all’olivicultura del Salento, è stato reciso il legame tra ricerca scientifica e applicazione in campo. Gli agricoltori salentini hanno saltato i veti della magistratura e si sono collegati ai centri di ricerca delle università e del Cnr pugliesi per trovare una soluzione percorribile al disastro della Xylella. Intanto la coltivazione del mais in Italia si è dimezzata e, anche quest’anno, dovremo trovare due miliardi e mezzo di euro per acquistare all’estero mangimi, quasi tutti Ogm, necessari a produrre il Made in Italy che esportiamo ovunque.
Per non parlare del deficit d’investimento in ricerca. Deficit che costringe quasi 50mila ricercatori italiani a emigrare, producendo conoscenza e brevetti che si stima valgano 21 miliardi di euro l’anno tra costi di formazione e valore delle scoperte effettuate. Da noi il ministero delle Politiche agricole ha indicato lo stanziamento di 21 milioni di euro per finanziare le nuove biotecnologie vegetali. Fondi di cui però al momento si sono perse le tracce.

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