Dai robot alla genetica, il futuro si gioca sulla conoscenza

Forum Cdo Agroalimentare, tanti spunti per la crescita delle aziende, grandi e piccole

Dai robot alla genetica, il futuro si gioca sulla conoscenza
Esperienze, idee, tecnologia, innovazione... Il Forum Cdo Agroalimentare, che si è svolto venerdì e sabato a Milano Marittima (Ravenna), ha acceso i riflettori sull'agricoltura smart e sui cambiamenti a cui il settore primario sarà chiamato.
Dai saluti del presidente Cdo Agroalimentare Camillo Gardini e dell'assessore dell'Agricoltura Emilia-Romagna e presidente Areflh Simona Caselli, per proseguire con tutti gli ospiti intervenuti, sono stati numerosi gli spunti per grandi e piccole imprese. E non sono mancati riferimenti e stimoli per l'ortofrutta.

“La conoscenza è fondamentale – questo l'incipit di Caselli – Serve investire su quattro aspetti: la programmazione, le filiere, l'innovazione e l'internazionalizzazione. Abbiamo bisogno sia del chilometro zero che del chilometro illimitato: e in Emilia-Romagna abbiamo ottimi esempi, anche di come piccole realtà, come l'Aglio di Voghiera Dop, possano conquistare mercati internazionali: questa Dop che si estende su una trentina di ettari ha iniziato a lavorare con l'aglio nero, quello fermentato, vendendolo dalla Germania al Canada: non sempre è necessario essere grandi per avere successo su scala planetaria”.



“Dal 2015 parliamo di agricoltura smart – evidenzia Angelo Frascarelli, docente all'Università di Perugia – cioè di un'agricoltura intelligente che prevede sistemi di precisione, blockchain, biostimolanti, attenzione alla sostenibilità... Non c'è solo l'aspetto tecnologico: i consumatori vogliono prodotti alimentari sicuri, di qualità, naturali, etici, diversificati e a prezzi accessibili. L'agricoltura deve essere resiliente, deve essere attrezzata per resistere agli shock climatici, deve sapere cambiare al mutare dei consumi, deve seguire un mercato che si riorganizza... L'agricoltore smart deve essere come un piranha, veloce e pronto al cambiamento”.

L'elemento tecnologico sarà sempre più presente. “La robotica – evidenzia Alessandro Malavolti, presidente di FederUnacoma – sarà impegnata nei lavori più gravosi, come la raccolta della frutta, della verdura e delle primizie, sia in serra che in campo aperto; avrà poi un ruolo di primo piano nelle colture idroponiche”.



E il consumatore potrà beneficiare della tecnologia anche per avere più trasparenza. "La blockchain è un metodo rivoluzionario per assicurare la fiducia tra controparti in un sistema decentralizzato senza avere bisogno di un'autorità centrale che verifichi e autentichi la correttezza di ciò che è registrato – spiega  Fabio Malosio di Ibm Italia - Nel settore agroalimentare la blockchain può essere utilizzata per aumentare la riconoscibilità sul mercato, diminuendo il rischio di frodi e falsificazioni, abbattere costi e tempi grazie all'uso di smart contract che rendono automatici processi gestiti in modo manuale".

Attraverso l'innovazione è sicuramente possibile avere più sostenibilità. Remy Courbon, amministratore delegato di Bayer Crop Science Italia: “Bayer vuole essere uno dei maggiori attori che portano innovazione in agricoltura. Grazie a nuove tecnologie come la genetica e il digital, prodotti chimici e biologici all’avanguardia e vicinanza al territorio potremo affrontare le sfide dell’agricoltura italiana di oggi e, soprattutto, di domani. Produrre meglio, mantenendo qualità, tipicità, sicurezza”.

Un progetto concreto che dimostra l’impegno di Bayer è Agrievolution, il primo grande roadshow sull’agricoltura che toccherà alcune zone con forte vocazione agricola in giro per l’Italia. Durante il tour, che si terrà presso i musei agricoli italiani, autorevoli relatori  dialogheranno con agricoltori, docenti universitari, giornalisti, associazioni e istituzioni locali su temi di interesse e attualità come le new breeding techniques, il genome editing, la trasformazione digitale.

Alessandro Banterle, docente ed economista agrario dell'Università di Milano, ha aperto la sessione dedicata alle filiere e al “vertical coordination”.
“I conflitti di interesse sono normali dentro le filiere, ma è il mercato che deve risolvere questi conflitti. Nell'agroalimentare tutto ciò è più complicato, perché i produttori subiscono il prezzo. Però accanto al conflitto di interesse può esserci una forma di coordinamento verticale capace di mettere d'accordo le parti. Le private label sono un esempio di filiera coordinata verticalmente, gli standard di sostenibilità e la tracciabilità sono altre forme di coordinamento verticale. In Italia c'è una cultura dell'individualismo che non aiuta, complicata da problemi organizzativi e costi logistici superiori rispetto ad altri Paesi. Andrebbe superata, la Gdo dovrebbe essere il perno centrale su cui ruota l'integrazione verticale, con cui portare benessere all'intera filiera e alla società”.

Nuove geometrie per le filiere agroalimentari, in modo particolare per quella ortofrutticola. Su questo binario si è mosso l'intervento di Claudio Mazzini, responsabile freschissimi Coop Italia, introdotto e moderato da Enrico Bucchi di Alegra.
“Ripensare a un modello è difficilissimo, ma è quello che dobbiamo fare – osserva il manager Coop – Per anni abbiamo puntato sulla massificazione dell'ortofrutta sfusa, ma gli italiani ci stanno dicendo che vogliono il servizio del confezionato: e questa è una strada per creare valore, perché proteggi il prodotto e riesci a raccontare la sua storia. Che senso ha vendere ortofrutta a 99 centesimi il chilo? Dobbiamo ricreare valore partendo da ciò che il consumatore si aspetta: nei freschissimi abbiamo commesso l'errore di voler industrializzare un settore che vive di emozionalità. E così in 15 anni abbiamo perso 1,5 kg di consumi ortofrutticoli procapite annui. Dobbiamo cambiare paradigma”.



Il biologico è un driver della crescita. “In tre anni l'ortofrutta ViviVerde è passata da 30 a 90 milioni di euro, vale il 7% delle vendite di reparto, non è più una nicchia: tutti comprano biologico, la penetrazione del bio è altissima”, aggiunge Mazzini.
Le grandi superfici della Gdo mostrano segni di difficoltà, ma avete mai provato a pensare cosa succederebbe senza? La risposta del responsabile freschissimi Coop: “Tutti gli assortimenti dell'industria, le estensioni di gamma, le innovazioni, dove le mettiamo? Grandi contenitori permettono grandi assortimenti”, attenzione quindi a ritenere superati gli ipermercati.

Tornando al tema dell'aggregazione di filiera, per Mazzini la Marca del distributore è un ottimo esempio. Questa riesce a premiare anche la vera innovazione di prodotto e le buone idee dei produttori. Così è successo, in casa Coop, con il bergamotto. “Oggi funziona, grazie a un'idea di un produttore e al marchio della nostra catena: filiera cortissima, progetto che crea valore per tutti i soggetti coinvolti”. Ma quando si passa al brand premium, le cose si fanno più complicate. “Il limite maggiore che ho con FiorFiore Coop – conclude Mazzini – è che non c'è abbastanza prodotto agricolo sufficientemente buono per rispettare i nostri standard: è una sfida che continuo a lanciare, perché io ci credo per davvero”.

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