L'esotico e la sfida dei «consumatori di seconda generazione»

McGarlet fa il punto sul mercato: dalla garanzia di qualità al prodotto italiano

L'esotico e la sfida dei «consumatori di seconda generazione»
Li chiama consumatori di seconda generazione. Gente abituata a "masticare" l'esotico e quindi a fare le pulci al prodotto: grazie a loro il segmento è cresciuto e saranno proprio questi consumatori evoluti a tirare la volata dei consumi esotici anche nel prossimo futuro. Con Luca Garletti, Ceo dell'azienda bergamasca McGarlet - che produce, importa e distribuisce frutta esotica in Italia e in Europa - abbiamo scattato una fotografia del mercato, tra barriere da superare e nuove opportunità, a partire dall'esotico Made in Italy.

Garletti, cosa chiede un consumatore di seconda generazione e cosa si aspetta di trovare in un punto vendita?
Vuole avere garanzie del prodotto che acquista. Inutile raccontare fanfaronate, che il primo prezzo è un frutto più buono... è semplicemente un prodotto dove vengono ottimizzati tutti i costi. E poi, pensando al consumatore evoluto dell'esotico, mi chiedo: ma la ricerca ossessiva del prezzo è opera del buyer o è veramente chiesta dall'acquirente? Comunque il consumatore evoluto di mango vuole un frutto con caratteristiche precise, che solo il prodotto via area sa dare. Idem per la papaya e non è un caso che ci si stia spostando verso la formosa. Sono dell'idea che il consumatore oggi sappia rinunciare a un prezzo abbordabile in favore della qualità, quella garantita però.

Dal suo osservatorio quali sono i prodotti sulla cresta dell'onda?
Mango e papaya sono i primi del carniere. Poi l'avocado continua il suo sviluppo e lo spostamento verso l'Hass ci dice che il consumatore ha preso consapevolezza del frutto e ancora una volta è disposto a spendere di più a fronte di una qualità superiore.



Così il rischio di deludere un consumatore evoluto è maggiore?
Se si lavora bene sul tema varietale e logistico c'è molto meno probabilità di deluderlo rispetto a un tempo. La tendenza è quella di abbandonare un prodotto duro e fermo per preferire uno più maturo. E un avocado maturo è più difficile che ti deluda, ma naturalmente devo saper far selezione.

E per gli operatori i costi aumentano...
Certo, lavorare con il via aerea è più costoso. Ma qui si entra nelle varie filosofie aziendali: noi vogliamo garantire il massimo al consumatore, questo implica avere competenze, interventi di selezioni, celle di maturazione... Know-how e investimenti.

Oltre a mango, papaya ed avocado c'è di più?
C'è quello che noi chiamiamo superesotico. Il passion fruit è cresciuto in modo importante, così come il lime, utilizzato come base di cocktail e in cucina. Noi italiani siamo forti consumatori di polpa di cocco e rispetto alla media europea siamo più attenti alla qualità della noce e della polpa di cocco e anche qui entrano in gioco origine e varietà: il cocco africano ha prezzi più contenuti, quello dei Caraibi è più costoso, sia per il tipo di materia prima che per la logistica. E poi arrivano tutti gli altri prodotti: rambutan, mangosteen, carambola, tamarillo, granadilla...



Prodotti di nicchia?
No, non direi. Ormai hanno una loro costanza nei dodici mesi. Se vogliamo il litchi è una nicchia di Natale: in questo periodo troviamo il prodotto del Madagascar, un Paese molto povero la cui popolazione rurale si mobilita per la raccolta di questo frutto e vive di questa attività. Ecco perché su questo articolo non avrebbe senso fare la lotta sui centesimi: a noi pagarlo 3 euro invece di 2,90 il chilo non cambia nulla, mentre quei dieci centesimi farebbero la differenza per i coltivatori africani.

I consumi di esotico in Italia su quali direttrici potranno crescere?
Teniamo conto del cambio negli stili di vita e di alimentazione, con la diminuzione nella richiesta di proteine animali in favore di quelle vegetali. Qui l'ortofrutta, esotico compreso, ne può trarre vantaggio. La destagionalizzazione, poi, è un altro fattore che può incrementare i consumi, così come l'arrivo di nuovi articoli un tempo marginali: patate dolci, ginger, curcuma... Sono prodotti su cui registriamo incrementi importanti e tangibili, con i consumi trainati anche dalle proprietà nutraceutiche di questi prodotti. Il consumatore evolve in tal senso, il nostro consumatore di riferimento non è quello che compra il mango a Natale e non sa bene cosa farne, ma colui che è informato e ha le idee chiare sull'esotico.

Quali prospettive intravedete - anche alla luce dei vostri progetti - per l'esotico Made in Italy?
Il nostro progetto era di arrivare alla fine del 2021 con cento ettari di esotico italiano. Quest'anno chiudiamo con 28 ettari già a dimora, arriveremo a 50 entro la fine del 2020 e poi faremo un ultimo scatto per raggiungere l'obiettivo. I test fatti in Puglia, Calabria e Sicilia sono stati positivi, abbiamo contatti con aziende estere già produttrici che vorrebbero investire in Italia, la parte vivaistica e della formazione del personale agronomico qualificato va avanti.



Il valore aggiunto sarà il gusto?
L'avocado messicano spopola negli Stati Uniti perché viene raccolto maturo dalla pianta e ha quindi caratteristiche gustative elevate. Il differenziale su cui puntiamo è proprio questo: vogliamo staccare dalla pianta un prodotto ready to eat. E questo vale anche per il mango. Le prove di quest'anno ci hanno restituito un avocado con una massa grassa del 24%, paragonabile a un prodotto importato via aerea.

Avete lanciato anche i cesti natalizi con la frutta esotica. Cosa c'è dietro questa proposta?
McGarlet opera su due livelli: da un lato c'è la parte agronomica e commerciale; dall'altra quella sociale. Le maestranze al nostro interno arrivano da una cooperativa di solidarietà sociale Le Mura che ha come obiettivo impiegare il 50% di persone diversamente abili o con varie tipologie di disagio. All'interno di tutto questo rientra il discorso dei cesti: sono proprio queste persone che li confezionano e per loro questa diventa anche un'occasione di socialità. Il Natale esotico è buono e solidale.

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