Da disoccupato a frutticoltore: la storia dal Trentino

Da disoccupato a frutticoltore: la storia dal Trentino
Il Giornale del Trentino nei giorni scorsi ha pubblicato la storia del trentottenne Michele Graziadei che, da un momento di difficoltà personale ne è uscito scommettendo sull'agricoltura. Da ragazzo è stato dipendente di un'azienda agricola, poi per dieci anni ha lavorato in un cementificio: durante la pandemia è rimasto senza un'occupazione e allora ha deciso di lanciarsi in un'attività agricola a tempo pieno.

“Il contadino l’ho sempre fatto, sono nato in campagna, la mia mamma mi portava nei campi che stavo ancora in carrozzina e mi metteva all’ombra sotto una pegola di viti”, racconta Graziadei. Resosi conto delle carenze sul piano della formazione professionale, si è tuffato nella formazione: sta completando il corso biennale delle 600 ore organizzato da Fem. “Oggi per fare l’imprenditore agricolo è necessario destreggiarsi in un mare di burocrazia e non è abbastanza che la mia organizzazione professionale, la Cia, mi fornisca un’assistenza che è senz’altro adeguata perché anch’io devo sapermi destreggiare fra le varie norme per poi fare le scelte giuste. Sono necessarie altre competenze per le quali sto frequentando corsi in continuazione, dalla sicurezza, al patentino per l’uso dei fitofarmaci ad un’altra serie di corsi”, spiega l’agricoltore di Cavedine. Il suo ruolo in azienda, ancora per alcuni mesi, è formalmente quello del collaboratore, ma appena si aprirà il bando – si auspica a maggio – per la domanda del premio d’insediamento, intende aprire la propria partita Iva.

Vorrebbe arrivare a piantare le viti resistenti nelle zone più umide riuscendo a ridurne drasticamente il numero dei trattamenti. La sua sensibilità ambientale è testimoniata anche dal fatto che con l’arrivo in azienda, nel 2020, ha subito avviata la fase di conversione in biologico; il 2022 sarà l’anno nel quale potrà ottenere la certificazione di azienda biologica.

Ma questa è solo una tappa sulla strada del biodinamico, nonostante ai confini di più d’uno dei suoi appezzamenti abbia problemi di deriva causati dai confinanti. “Sarebbe auspicabile - afferma - che tutta la zona si trasformasse in distretto biologico, la Cantina sociale di Sarche ha dato il buon esempio, io sono convinto che il biologico è un valore aggiunto per l’azienda se ha la cantina sociale che ne valorizza i prodotti. Credo che l’integrato sia un buon compromesso ma oggi il consumatore richiede cibi sempre più sicuri”. L’unico limite per trasformare l’azienda in un’azienda biologica è quello della pesantezza burocratica. Ma Michele è convinto che questa sua scelta di agricoltore biologico sia innanzitutto una scelta di vita. Un’altra attenzione è di inserire nella sua azienda di 5.3 ettari prevalentemente colture i cui frutti si raccolgano da terra: viti, kiwi per ridurre al minimo il problema sicurezza nel lavoro di raccolta. Le varietà di viti sono: Chardonnay a fondo valle, Pinot grigio nelle zone più umide, Sauvignon e Nosiola in collina. Ha piantato anche e una piccola parte a oliveto, ma solo per produrre l’olio necessario per la famiglia.

Fonte: Giornale del Trentino