La babele dei rincari disorienta la filiera

Situazione drammatica, ma dati roboanti la rendono poco credibile

La babele dei rincari disorienta la filiera
Il caro bolletta ha generato sui media un tormentone degno dei migliori successi dei Righeira. Se non fosse così seria, la situazione avrebbe del ridicolo: si va da chi parla di raddoppio del costo dell’energia a chi arriva a mostrare bollette cresciute in modo esponenziale, da chi rileva l’aggiotaggio sugli europallet a chi trasferisce erroneamente l’incremento dei prezzi dei materiali di confezionamento ai prodotti finiti per la nota proprietà transitiva. E siccome oggi un’intervista non si può negare a nessuno e tutti possono “postare” la prima cosa che viene in mente, il caos che si è sviluppato tende a sminuire la portata del fenomeno anziché farne comprendere la drammatica realtà.

Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza, il primo elemento da considerare per comprendere come vi siano differenze così importanti nei rincari dell’energia elettrica delle diverse imprese è la liberalizzazione del mercato, che ha portato ad avere prezzi molto differenziati fra situazioni spot e accordi di lungo periodo a prezzo bloccato. Prezzi doppi per questi ultimi fino dopo l’estate rispetto al mercato spot, che oggi - viceversa - sono diventati anche meno di un terzo, ma solo per quei pochi utenti che ancora hanno contratti attivi. A questo si aggiungano le difficoltà di alcuni dei consorzi di somministrazione che stipulavano contratti a prezzi bloccati e che ora faticano a onorarli per le difficoltà finanziarie insorte con la chiusura delle linee di credito, gettando gli sventurati clienti nelle fauci del mercato spot.



Per cui incredibili differenze sulla carta nella variazione delle tariffe dell’energia elettrica sono invece perfettamente spiegabili e coerenti nella pratica. Va poi detto che questa problematica avrà effetti importanti soprattutto per i prodotti “energivori”, come mele, pere e patate. Questi, soprattutto per esigenze di frigoconservazione, vedono rincari sul prodotto lavorato superiori al centesimo al chilo, che nei casi peggiori potrà arrivare fino a due; senza parlare di quarta gamma e funghi, dove il processo produttivo e di lavorazione sono le fasi critiche.

Ma, in realtà, la portata dei rincari dell’energia non è ancora completamente prevedibile in orizzonte 2022, poiché la bolla speculativa si sta ingrossando e non accenna a sgonfiarsi, tanto che si comincia a pensare che avrà effetti anche oltre il primo trimestre dell’anno, limite fino ad ora considerato per la sua efficacia. Senza considerare che, sempre sul fronte energetico, la “grana ucraina” è una bomba a orologeria sul mercato del gas di cui nessuno sa se e quando si azzererà il timer.



Venendo alle materie prime e sorvolando per brevità gli effetti sul fronte agricolo, a cui riserveremo un apposito spazio data la gravità del fenomeno, sono i materiali di confezionamento il centro dell’attuale interesse. Le plastiche, sia vergini che riciclate, negli ultimi dodici mesi hanno infatti visto un incremento di prezzo sul mercato spot da una volta a una volta e mezzo, mentre la cellulosa è cresciuta di oltre il 60%. Considerando, poi, che i processi di estrusione e termoformatura sono estremamente energivori, l’incidenza dell’energia potrà passare dal 6-7% fino oltre il 15% sul costo di produzione delle confezioni in plastica, tanto che sul classico cestino da kg in PET o R-PET saranno necessari alle imprese produttrici incrementi fino al 50% rispetto al prezzo 2021 per mantenere un minimo di marginalità. Senza considerare che, oltreché di aumenti, le materie prime soffrono e soffriranno sempre più in quest’annata di carenza di disponibilità che rende ancora più aleatoria la loro possibilità d’impiego per i prodotti finiti come le confezioni.



E veniamo alla logistica, dove oltre all’incremento dei costi, sono soprattutto i ritardi nelle lunghe distanze a impattare rendendo spesso aleatorio il processo distributivo. Ma vi sono comunque anche pallet leggeri aumentati del 50% e quelli di scambio del 150%, senza parlare dei costi chilometrici sotto scacco per il caro carburanti.

Ecco allora che, dai magazzini di selezione e confezionamento fino ai punti vendita, si possano ipotizzare da 3 fino a 10 e più centesimi al kg d’incremento nei costi in funzione delle caratteristiche del processo coinvolto. L’eterogeneità del valore dei prodotti in gioco, dalle poche decine di centesimi al kg delle patate ai diversi euro della frutta esotica, farà sì che l’incidenza di questi rincari peserà da alcuni punti percentuali fino a modificarne sensibilmente il prezzo di vendita. 

Come mi ero permesso di osservare già qualche mese fa, seppur al netto di speculazioni - che vanno perseguite e condannate con decisione - serve una presa di coscienza della situazione da parte della filiera al fine di spiegare agli acquirenti finali che, come purtroppo già capita loro per la bolletta della luce e del gas, anche per i prodotti di prima necessità dovranno fare i conti con inevitabili aumenti, che li obbligherà a redistribuire le spese dando di nuovo maggiore centralità all’alimentazione, ovviamente con intensità diverse in rapporto al reddito disponibile.



La pandemia ha sconvolto i nostri ritmi e le nostre abitudini con effetti tanto improvvisi quanto inattesi. Solo chi saprà reagire contrattaccando riuscirà a sconfiggere le difficoltà, proprio come abbiamo fatto con i vaccini. Mi rendo conto che parlare di aumenti è impopolare, ma giocare in difesa e minimizzare aspettando tempi migliori rischia di essere perdente.

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