«IV Gamma, paziente in terapia intensiva»

Bragotto (Cultiva): «I costi? Parte del problema. La filiera non sia pigra»

«IV Gamma, paziente in terapia intensiva»
“Il settore della IV gamma è come un paziente in terapia intensiva, possiamo ancora salvarlo, ma occorre individuare una cura, e per trovarla industria e distribuzione devono sedersi attorno ad un tavolo e collaborare a carte scoperte. Diversamente il paziente muore, con il serio rischio di compromettere un comparto che sviluppa quasi 1 miliardo di euro”.
Una dichiarazione forte, ma se a pronunciarla è Massimo Bragotto, direttore generale di Cultiva, e che milita nel mondo delle insalate in busta da oltre 15 anni, c’è da preoccuparsi sul serio: non bisogna fermarsi alla mera lettura dei dati di vendita – IV e V Gamma mostrano performance positive (clicca qui per leggere l’Ortofrutta in Cifre) – ma andare a fondo e analizzare, anche, quale impatto sta avendo l’aumento dei costi produttivi sulla marginalità delle aziende. In questa intervista esclusiva raccolta da IFN, il manager milanese spiega la sua visione sull’origine delle difficoltà e sulle possibili soluzioni da adottare.

Bragotto, i costi di energia e materie esplodono. Il fenomeno investe tutta la filiera, tutta l’economia… Perché la IV Gamma paga un prezzo più alto?

Non è un problema di aumento dei costi, o almeno non solo. Ancor prima come operatori, ma diciamo pure tutta la filiera, abbiamo gestito impropriamente un mercato meraviglioso. Ci siamo accontentati per anni, soprattutto i primi tempi con guadagni interessanti e quindi con la pigrizia del benessere, ma adesso i tempi sono decisamente cambiati e purtroppo non abbiamo saputo adeguarci al cambiamento e non abbiamo saputo costruire il futuro. I problemi contingenti all’aumento dei costi hanno solo accelerato il processo.

In questo contesto che ruolo gioca il consumatore? E’ stato approcciato nel modo giusto?

Spesso si parte da alcuni assunti a mio avviso mal interpretati che hanno portato a scelte strategiche sbagliate, come nel caso della penetrazione. Mi spiego meglio. La penetrazione assoluta è superiore al 70% e ovviamente include tutti, anche i basso consumanti. Scorporando, la penetrazione degli heavy users è pari al 20%. La tattica di piani promozionali super aggressivi fondati sul prezzo lavora quasi esclusivamente sugli heavy users che comunque già comprano su base settimanale. La loro quota di stomaco è quella e dato che il prodotto non si presta neppure a stock domestico, il taglio prezzo non li indurrà a comprare di più, ma solo a scegliere il prodotto in promozione distorcendo così anche la reale percezione del prezzo corretto per la categoria, vedi l’esempio del mercato degli affettati a peso imposto dove la pressione promo si aggira intorno al 40%, livello al quale nessuno vuole arrivare. In sostanza invece di attirare nuovi acquirenti svendiamo il prodotto a quelli abituali, inducendoli a rincorrere le promozioni più aggressive senza lavorare sul trial, che col tempo porterebbe ad aumentare il parco trattanti.



Beh, qui arriviamo al tema della comunicazione. Lo ritiene uno strumento utile ad alzare il valore della proposta, almeno in termini di percezione?

Assolutamente, e qui si apre un altro tema che ritengo non sia ancora stato affrontato come merita. Ci dobbiamo domandare perché il consumatore ancora oggi, dopo più di 30 anni, chiede che conservanti mettiamo nelle buste o se si può fidare dell’acqua di lavaggio o se utilizziamo troppa plastica; oppure, si fa domande sulla qualità perché gira la dicerìa che l’industria utilizzi le insalate meno fresche. Sui principali motori di ricerca appena scrivi ‘insalate in busta’, i primi risultati citano leggende metropolitane allarmistiche, all’interno di una filiera che è fra le più controllate e garantite del panorama agroalimentare. Provare per credere, come dicevano negli anni ’80!

Le fake news, un altro nemico da combattere. Ma come se ne esce da quello che sembrerebbe un vicolo cieco?

Il leader deve guidare la filiera. Un po’come accade nel Giro d’Italia dove l’andatura è data dalla squadra della maglia rosa. Nel settore della IV gamma la maglia rosa è la private label – e quindi la Gdo – grazie ad una quota di mercato di circa il 70%. Di solito il leader è un produttore, ma poco importa, purché chi guida il mercato si assuma oneri e onori di essere leader dettando politiche, strategie, tendenze, visione, assortimenti, ruolo dell’innovazione… Il posizionamento prezzi e i relativi listini sono solo un tassello nel mosaico. Non è uno scarica barile al retailer, ma ci sono Paesi all’estero dove il peso della marca privata è addirittura superiore e in questi casi il leader/retailer ha sviluppato una strategia propria scegliendo uno o più fornitori di riferimento dettando la propria unica visione a chi è in grado di svilupparla. Il metodo di approccio della categoria è quindi uguale a quello di mercati dove il leader è il produttore.



Non starà per caso consigliando ai distributori italiani di tagliare il parco fornitori?

Dovrebbero essere le aziende a trovare sinergie fra di loro se ne hanno la possibilità. Attualmente c’è troppa offerta, troppe aziende, troppe proposte identiche, quasi nessuna differenziazione di prodotto. La differenza tra aziende non si trova nel prodotto che non ha di per sé grandi barriere tecnologiche, ma può avere enormi differenze per cultura, capacità di vedere il futuro, capacità di investire, capacità di collaborare, expertise, consulenza al servizio del trade e del cliente finale, visione oltre i confini del settore... Non è importante la sola dimensione, ma le skills delle aziende di produzione e la loro capacità di interagire con tutti per il bene della categoria. Così facendo si farebbe vera innovazione sviluppando l’intera filiera.

Quindi dice che adesso non c’è innovazione?

Spesso non rimane sullo scaffale che pochi mesi, la maggior parte delle proposte spariscono o altre proposte (anche con elevato tasso di innovazione) non arrivano a causa della ‘percezione’ di prezzo troppo alto da parte degli addetti ai lavori visto il benchmark creatosi nella categoria e quindi non vengono listate. Mercati più strutturati ragionano non sulla percezione degli operatori, ma sull’oggettiva disponibilità del consumatore a dare il corretto valore a quel prodotto. Servono più analisi congiunte, interventi sulla filiera, sulla catena dei costi/ricavi per alzare un Ebitda che garantisca investimenti, idee, vera innovazione e che sia in grado di attrarre talenti. Esattamente come avviene in mercati più floridi: pensate al mercato delle merendine che ha un giro d’affari molto simile al nostro ma di gran lunga più marginante. La loro reputazione e la strategicità con la quale tutta la filiera ha approcciato e tratta la categoria è di un altro pianeta. Ma vorrei sottolineare un punto.

Quale?

Il mio intento non è la lamentela né tantomeno un rimprovero o un’accusa per nessuno, piuttosto uno ‘svegliamoci’, prima che sia davvero troppo tardi. Rendiamoci conto che siamo già ai limiti per diventare una commodity senza averne ancora le caratteristiche. Se sapremo prendere una direzione più illuminata sono convinto che vedremo crescere un mercato a tassi importanti, ma soprattutto con marginalità soddisfacenti per tutti. Il nostro prodotto è perfetto: naturale, trendy, sostenibile, riconosciuto universalmente dal consumatore come sano ed indispensabile. Dobbiamo sfatare le leggende metropolitane e dare fiducia a chi è disposto a spendere il giusto, creando valore aggiunto ad una categoria cui la promessa principale è più che mai attuale: il time saving. Spendiamo 2,50 euro per un pacchetto di gomme da masticare, abbiamo mai fatto un rapporto prezzo/kg? Perché la meravigliosa, salutare, naturale, benefica insalata deve costare così poco? Forse non siamo stati capaci di valorizzare un diamante della cultura alimentare italiana: la nostra agricoltura e la trasformazione in IV gamma. Con questo approccio al mercato, forse, come avviene in altri mercati, listino e prezzo di vendita saranno solo uno degli argomenti e magari, chissà, pure tra i meno importanti.

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