Frutta estiva e clima, quale futuro per l'Italia?

Catalano (Soi): «Senza innovazione non si va da nessuna parte»

Frutta estiva e clima, quale futuro per l'Italia?
Per il secondo anno consecutivo, le gelate tardive hanno “tagliato” i raccolti di drupacee. In più parti d’Italia, i produttori di pesche, nettarine, albicocche, susine e mandorle sono stati pesantemente colpiti da numerosi ritorni di freddo, arrivati dopo un inverno mite che aveva favorito il risveglio anticipato delle piante. Solo le ciliegie sembrano aver subito meno danni rispetto alle altre drupacee. Le perdite da freddo tardivo sono un problema a cui i frutticoltori italiani dovranno abituarsi sempre di più? Forse. Il climatologo Luca Mercalli, domani, ci aiuterà a rispondere a questa domanda durante la nostra Diretta Facebook, in programma alle ore 12 (clicca qui per impostare il promemoria).

L'intero settore della frutta estiva, in ogni caso, dovrebbe preoccuparsi - e non poco - per il suo futuro. E' difficile pensare che, nei prossimi anni, la situazione possa diventare più rosea, viste e considerate le penalizzanti condizioni relative al contesto varietale, agli scarsi investimenti della ricerca pubblica e al riscaldamento climatico del pianeta che porta ad un anticipo di vegetazione e di fioritura delle varie specie fruttifere.

“Per la famiglia delle prunoideae, i programmi di breeding che oggi vanno per la maggiore non sono italiani ma provengono da zone più calde come la Spagna, la California e in parte dalla Francia. Immaginando di suddividere per grandi linee le varietà disponibili, si può notare una prevalenza di produzioni di frutta estiva a medio e basso fabbisogno di freddo. E’ di per sé normale che con fioriture precoci aumenti il rischio di danni a causa dei ritorni di freddo”, sintetizza a Italiafruit News Luigi Catalano, presidente della sezione Frutticoltura della Soi (Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana) e socio fondatore dell’Agrimeca Grape and Fruit Consulting di Turi (Bari).



Lo scenario attuale per le drupacee è quindi molto diverso rispetto a qualche decennio fa, quando i frutticoltori italiani producevano prevalentemente varietà caratterizzate da un medio o alto fabbisogno di freddo, molte costituite da breeder italiani. “Le selezioni dei programmi di breeding esteri - prosegue Catalano - si sono affermate su larga scala in Italia grazie alla caratteristica della bellezza estetica, sempre più richiesta dal mercato. Tuttavia, tanti piccoli e medi produttori le hanno introdotte anche in zone poco vocate e più esposte a rischi di gelate tardive. Questo errore si continua spesso a fare tuttora, dal momento che l’Italia investe poco sulla sperimentazione e la validazione delle selezioni varietali, due attività che rappresentavano la mission dei vecchi Istituti sperimentali di frutticoltura. Il progetto del Mipaaf sulle Liste di orientamento varietale dei fruttiferi, terminato da alcuni anni, aveva proprio questa funzione di guida”.

Nel nostro Paese rimangono pochi esempi virtuosi, come quelli di Agrion (ex Creso) in Piemonte e del Crpv in Emilia-Romagna, che svolgono un puntuale lavoro di sperimentazione varietale e divulgazione dei risultati a livello locale. Ma “nelle Regioni in cui si sta spostando la frutticoltura, quali Sicilia, Puglia e Basilicata, la sperimentazione e la validazione delle varietà sta mancando quasi totalmente”, rimarca Catalano. Di conseguenza, i piccoli e medi produttori possono scivolare in errori sulla scelta varietale più idonea.

Come risolvere questa problematica anche alla luce delle proiezioni di crescita del riscaldamento climatico? “I costitutori dovrebbero fornire precise informazioni sulle caratteristiche delle varietà, in modo da tale da poter disporre di dati correlabili ai parametri pedoclimatici dei diversi microambienti di coltivazione. Occorre al tempo stesso prendere spunto dal Crpv e da Agrion. Le Op e strutture associative di tutta Italia dovrebbero investire risorse per allestire, in accordo con i centri di sperimentazione territoriali (ove presenti), reti di campi sperimentali e di osservazione per orientare al meglio i frutticoltori delle diverse aree”. 


Luigi Catalano, presidente sezione Frutticoltura della Soi

Ma tanto c’è da fare anche a livello di governance: “Servirebbe sicuramente un nuovo organigramma nazionale che possa stabilire chi fa cosa al servizio della produzione italiana - sostiene il presidente della sezione Frutticoltura della Soi - Nell’ultimo decennio, il mondo della ricerca pubblica si è organizzato in maniera confusa tralasciando purtroppo l’importanza della sperimentazione e trasferimento della ricerca in campo che in passato era mission degli istituti sperimentali ministeriali. Tanto che oggi gli Istituti del Crea assumono pochi agronomi se confrontati ad altre figure professionali come ad esempio i biologici molecolari, non certo dotati di quelle competenze che le attività di campo richiedono. Con conseguenze evidenti per il settore produttivo: se fino agli anni 2000, i produttori e i tecnici spagnoli di frutta e agrumi venivano qui in Italia per vedere le prove di nuovi varietà portainnesti, oggi siamo noi a dover andare stabilmente in Spagna per aver accesso all’innovazione”.

Insomma, per chi non lo avesse capito, la ricetta per il futuro della frutticoltura italiana passa dall’
innovazione varietale validata per i vari distretti produttivi nazionali, storici e di nuovo insediamento. Serve una ricerca applicata - sia pubblica che privata - molto più spinta, diffusa, organizzata e su misura per i diversi areali produttivi, in grado di tenere conto della “variabile” clima, come ad esempio sta già avvenendo per la fragola e l’uva da tavola.

Copyright 2021 Italiafruit News