«Buyer, non fate i monaci di clausura»

Un post del Dg di Tatò Paride (Coop) scatena il dibattito sul ruolo della strategica figura

«Buyer, non fate i monaci di clausura»
Ruolo dei buyer, il tema torna di attualità. Dopo le "sferzate" di Mario Gasbarrino riportate in varie occasioni da Italiafruit News è Maurizio Schiraldi, direttore generale del gruppo Tatò Paride Spa (master franchisor di Coop Alleanza 3.0 per le regioni Puglia e Basilicata) a pungolare questa strategica figura della Gdo. Lo fa con un articolato e ironico post su Linkedin: "Esistono due tipi di compratori: i benedettini burocrati che stanno sempre in sedie, scusate, sede, che delegano la propria cultura alle informazioni provenienti dai soliti fornitori, che leggono i giornali di settore, che compongono l'offerta solo sulla base dei dati Nielsen e Iri e così facendo si inseguono con la concorrenza in un gioco di copiatura che rende le proposte commerciali uguali le une alle altre... E i cercatori-scopritori che visitano i fornitori, cercano nuovi prodotti da proporre alla clientela, seguono la concorrenza, studiano le merci e le filiere, fanno i product manager". 



Schiraldi aggiunge che "è così che i discounter hanno la meglio su quella Gdo che non si evolve: guardate come Lidl, Aldi, Md, Eurospin producono continue sollecitazioni di consumo lanciando nuovi prodotti sebbene abbiano numeriche inferiori; di contro invece molti distributori continuano a proporre le stesse cose con numeriche più profonde ma meno ampie... Sempre nello stesso modo".

La ricetta del Dg di Tatò Paride è semplice: "Alzare il sedere dalla sedia, sviluppare la ricerca prodotto, cercare specialità qualitative di piccoli fornitori, far crescere il marchio proprio. Creare occasioni di consumo differenti è molto più faticoso che restare in ufficio ad ascoltare i fornitori... Per favore, non sempre gli stessi".

Musica per le orecchie di Gasbarrino che commenta il post in modo perentorio: "Sapere che c'è qualcun altro che la pensa allo stesso modo mi conforta: vuol dire che c‘è ancora vita sul pianeta retail. Peccato che, mi sembra, abbiamo più o meno la stessa età, e non so francamente se saremo in grado di riprodurci. Ma non preoccupiamoci: se non ci riusciamo noi, ci penseranno quelli del discount a ripopolare il pianeta...".



Interviene anche Boris Fort, general manager di Pizzoli, spezzando una lancia a favore dei buyer: "Credo che il problema provenga sia dalla cultura dell’insegna, sia da una predisposizione personale, sia dai carichi di lavoro amministrativi che la catena stessa impone ai buyer", scrive sotto il post di Schiraldi. "Ho visto compratori soccombere sotto piani promozionali inutili, divisi per canale e chi più ne ha ne metta; qualcuno che doveva fare gli ordini, definire gli assortimenti, pensare allo sviluppo della marca privata, etc etc. In un’azienda bisogna concentrare le energie e il pensiero su ciò che dà valore aggiunto e crea differenziazione. È solo così che si rinforza il vantaggio competitivo. Ma questo non può essere delegato al singolo. É la direzione generale che deve guidare le persone verso tale attitudine".

"Sono i buyer che non vogliono visitare le aziende oppure le direzioni generali commerciali che non lo permettono?", si chiede Igor, direttore commerciale di un'importante azienda del settore food.

"Da fornitore, noto che la categoria dei buyers è quella più comodamente bistrattata su questo social", scrive Giorgio. "Credo invece che l’oberante lavoro a cui sono obbligati (centinaia di piani promo, solleciti da capi, clienti, affiliati e chi più ne ha più ne metta) non sia spesso facilitato dalle industrie, che sono le prime spesso a proporre “copie di mille riassunti” seguendo solo dati Iri e Nielsen e spingendo prodotti dettati da logiche di profitto ma sempre meno spesso di creazione del valore". E prosegue: "I buyer dei discounter hanno a che fare con un decimo di fornitori, spesso con punti vendita di proprietà su cui hanno controllo totale e molti meno stakeholders: per loro è più facile trovare tempo ed energia per scovare nuovi mercati". 


Fatto sta, sostiene Alessandro, "che nelle sedi spesso c’è tanta approssimazione e poca conoscenza di cosa pensa un cliente quando spinge un carrello nei punti vendita per fare una cosa molto semplice...la spesa!".

"Servirebbe di tanto in tanto vivere nei punti vendita ascoltando i clienti e gli addetti ai lavori, anche di sabato e perché no, anche di domenica... Perché in cima alla piramide dei consumi c'è ancora il cliente" aggiunge Francesco, sales manager di un'azienda no food.

"Per ottenere il giusto risultato finale - digita infine Mirko Elia, buyer category carni  - bisogna conoscere il merceologico e averlo vissuto prima con le mani. A volte il tuttologo anche laureato se non arriva dal mestiere rimarrà sempre seduti alla scrivania per non fare, in fase di esposizione sul campo, brutte figure". Numerosi gli apprezzamenti al suo commento. 
Il dibattito prosegue.

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