«Pere, difficile assecondare la Gdo estera»

Ceccarelli (Julius): «Il rischio è di cedere il passo a Belgio e Olanda»

«Pere, difficile assecondare la Gdo estera»

Che la pericoltura italiana arrivi da anni complicati non è una novità. Cimice, alternaria, gelate, siccità… Tutti elementi che, singolarmente o simultaneamente, hanno caratterizzato le ultime annate, condizionando lo scenario di mercato. A livello europeo, spiega a IFN Ettore Ceccarelli, co-titolare con i fratelli dell’azienda agricola Julius di Longiano (Forlì-Cesena), le pere Made in Italy devono affrontare un’ulteriore sfida: rioccupare lo spazio che, per forza di cose, è stato ceduto ad altri player. 
“Quest’anno il prodotto italiano è contraddistinto da calibri piccoli, mentre la Gdo estera, soprattutto quella tedesca, predilige prodotto di pezzatura elevata – puntualizza l’imprenditore – Tra l’altro i nostri principali competitor, Belgio e Olanda, stanno conquistando il segmento dei calibri medio piccoli grazie alle quantità disponibili e alla costanza nella fornitura, fattori che permettono di garantire una stabilità di prezzo”.

C’è poi il tema dei costi produttivi e di imballaggio. Ad esempio, la William italiana con calibri ridotti veniva proposta nel classico cestino, una soluzione che faceva leva sul prezzo concorrenziale, ma ora i vari rincari lungo la filiera hanno messo in discussione questa proposta; tanto che la Conference estera sta prendendo il suo posto, richiamando l’attenzione dei distributori non solo della Germania ma anche del mercato norvegese e inglese. 

“Da circa due anni alla nostra William – afferma Ceccarelli – viene preferita la Conference che viene dai paesi competitor, perché riescono a mantenere i volumi costanti e prezzi più concorrenziali dei nostri. Riescono a produrre 60-70 tonnellate a ettaro e con queste rese sono in grado di coprire i buchi lasciati dall’Italia”.
Un capitolo a parte merita la Abate, caposaldo della pericoltura nazionale. “Questa pera per fare mercato necessità di pezzature sostenute - illustra l’operatore – ma nell’attuale campagna c’è una bassa percentuale di frutti caratterizzati da grossi calibri. Cerchiamo di piazzare il prodotto a prezzi remunerativi, ma inevitabilmente c’è una parte di merce su cui bisogna scendere di quotazione per favorire i decumoli”.

Infine, il ruolo dell’industria. Se in passato la trasformazione era una valvola di sfogo per i frutti più piccoli, ora questo mercato non è più così ricettivo. “Anche l’industria è alle prese con i rincari dei costi produttivi, a partire da quelli energetici – conclude Ceccarelli – Trasforma quindi meno prodotto e non riesce ad assorbire tutte le quantità che servirebbe”.