Residuo Zero, la strada per la sostenibilità

Il direttore Mazzucato: «Costituito un comitato tecnico scientifico»

Residuo Zero, la strada per la sostenibilità

Il Residuo Zero continua a destare interesse tra produttori, consumatori e distributori. L’associazione Zero Residui cerca di mantenere alta l’attenzione sul metodo di coltivazione e si è posta come obiettivo quello di discutere le aspettative della revisione delle direttive europee sui fitofarmaci. Di questo e degli sviluppi si è parlato venerdì al webinar “Residuo Zero, indicatore di sostenibilità ambientale e sociale dell’agricoltura?”.
 

“Come associazione – ha esordito Nicola Mazzucato, il direttore - abbiamo proposto insieme a Legambiente l’obiettivo di diffondere la certificazione volontaria per il Residuo Zero e abbiamo costituito un comitato tecnico scientifico. L’iter che seguiremo sarà quello della redazione di un documento condiviso e dell’ascolto di organismi di certificazione più attivi e qualificati perché c’è grande interesse per la certificazione Residuo Zero. Siamo d’accordo inoltre che la difesa integrata diventi obbligatoria e che i finanziamenti della Pac raggiungano gli obiettivi del regolamento europeo”.
 

Riguardo al tema sostenibilità che muove il progetto del Residuo Zero si è espresso Gabriele Chilosi, professore di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi della Tuscia. “Lo sviluppo sostenibile è diventato formalmente uno degli obiettivi a lungo termine dell’Unione Europea e il Residuo Zero ha tutte le carte in regola per esserlo perché si raggiunge solo attraverso l’implementazione integrata nel processo produttivo di interventi eco-compatibili ed eco-innovativi in grado di diminuire o annullare l’uso di fitofarmaci. In questi termini questo tipo di coltivazione può essere anche indicatore di sostenibilità perché in campo socio-economico prendiamo in esame indici ambientali, energetici, agronomici, di biodiversità ed economici che a livello produttivo ci aiutano a misurare la sopportazione deal punto di vista ecologico”.

Il professore Davide Spadaro, del dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino ha riportato il progetto di sperimentazione sulla fragola. “Cleanfruit è partito nel 2020. Nei due anni di lavoro non ha eliminato l’impiego di agrofarmaci ma li ha fortemente limitati. Le analisi hanno mostrato infatti che i frutti presentavano una quantità di residui inferiore al limite di quantificazione analitica per gli agrofarmaci, mentre permanevano i residui di fosetil-alluminio”. Anche se ancora non è ben disciplinato da normative nazionali ed europee, lo slogan secondo Spadaro è ben chiaro: “Il claim però è semplice e di facile comprensione da parte dei consumatori”. 

La propensione all'acquisto è alta: I dati dell'University of Reading dimostra che in Italia la propensione all'acquisto è pari al 95%. Coloro disposti a pagare un prezzo maggiore sono invece il 75,3%, mentre l'intenzione raggiunge ben il 71,6%. 
 

“Per la pratica del Residuo Zero adottiamo un approccio olistico”, ha dichiarato Flavio Lupato, General Manager di Koppert. “Questo prevede l’adozione di diversi mezzi di biocontrollo come i macrorganismi, microrganismi, le sostanze naturali e i semiochimici. L’introduzione di questi mezzi sono atti preventivi, vanno pianificati e controllati utilizzando un approccio d’insieme”. 
 

Hanno concluso il webinar Davide Parisi, Ceo e cofondatore di Evja, e Massimo Morbiato, amministratore delegato di Ez Lab. La prima realtà si occupa di agricoltura di precisione e intercetta le variabili climatiche per fornire uno strumento utile e concreto ad agricoltori ed agronomi, mentre la seconda offre soluzioni blockchain per l’agroalimentare. Evja si prefigge un approccio sistemico per il Residuo Zero basato su un mix di pratiche agronomiche, sostenibilità ambientale ed economica e la scelta degli strumenti tecnici adeguati, mente Ez Lab lavora sulla tracciabilità della filiera, anche del Residuo Zero, attraverso un Qr code.