Terapia intensiva per la «febbre da cavallo» delle pesche

Prima di applicare interventi strutturali al sistema è necessario ridare fiducia agli agricoltori

Terapia intensiva per la «febbre da cavallo» delle pesche
Si dice "hai una febbre da cavallo" perché la normale temperatura del quadrupede supera i 40°C che sono viceversa la soglia limite per l'uomo. Oltre i 40°C, infatti, il metabolismo del nostro organismo inizia a faticare e se non si interviene subito vi è il rischio che la febbre provochi danni cerebrali permanenti. Per questo motivo, quando abbiamo la febbre alta, accanto alle cure che sono volte a intervenire sull'infiammazione che causa l'alterazione termica, il medico ci prescrive medicinali antipiretici - che abbassano la febbre provocando abbondante sudorazione - e ci consiglia la provvidenziale pezzuola bagnata da tenere sulla fronte.

La nostra peschicoltura oggi ha una "febbre da cavallo" poiché le croniche infiammazioni che presenta (sinteticamente rappresentabili nell'assetto produttivo, nell'organizzazione commerciale, nella gamma di offerta e nei mercati serviti) hanno provocato una forte reazione del sistema immunitario (il mercato) che, reagendo alla malattia, ha alzato talmente la febbre (le perdite economiche dei produttori) da obbligarci a curare prima quest'ultima delle cause se non vogliamo perdere il malato.

Cure inconcludenti e grida di aiuto disperate

Gli interventi pubblici predisposti e in corso di predisposizione (ritiri straordinari, indennità, ecc.) possono al massimo rappresentare la pezzuola; daranno qualche sollievo immediato ma, poi, si asciugheranno velocemente per effetto dell'evapotraspirazione (in questo caso rappresentata dalla distribuzione a pioggia di poche risorse), lasciando il malato nella stessa condizione per via dell'infiammazione cronica. Malato che, proprio per effetto della febbre alta, tende a delirare proponendo improbabili blocchi produttivi e commerciali, ritiri di massa, contributi straordinari, prezzi legati ai costi di produzione, ecc.., tutti placebo propagandistici che non hanno alcuna seria capacità terapeutica, anzi, se somministrati singolarmente o come cocktail darebbero l'equivalente dell'effetto sull'uomo di 10 gr di paracetamolo, l'antipiretico per eccellenza: porterebbero cioè alla morte del paziente per intossicazione epatica acuta (qui la bancarotta del sistema pubblico degli aiuti all'agricoltura), malgrado la sparizione della febbre.

A noi serve certamente un antipiretico mentre iniziamo a curare le cause dell'infiammazione, che è a sua volta molto grave perché è anche cronica (strutturale) e non solo acuta (congiunturale). Ma l'antipiretico e le sue dosi devono essere compatibili con l'organismo da trattare e il suo funzionamento (in questo caso la politica agricola comune con la sua organizzazione di mercato e il sistema di consumo), senza però travalicarne i confini poiché porterebbero danni collaterali fatali.

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Il nuovo patto con i consumatori

Per questo dico che occorre un "nuovo patto con i consumatori" che permetta di collocare in maniera profittevole a partire dalla prossima campagna il prodotto di buona qualità gustativa di cui già disponiamo, qualunque sia la piega che il mercato prenderà.

Per fare questo, l'antipiretico in questione sono le tecnologie che permettono di separare il prodotto buono dal meno buono generando più valore sul buono, cioè prezzi adeguati per prodotti adeguati a rispettare il patto con il consumatore. E' questo il sudore che serve ad abbassare la temperatura che è della stessa natura ma di ben altra entità rispetto alla pezzuola sulla fronte. Viene dall'interno dell'organismo (il sistema ortofrutticolo), può contare su una parte di quel 70% di acqua che lo compone (i primati e la vocazionalità ancora inespressi della nostra ortofrutticoltura).

Questo comportamento virtuoso, che richiede il concorso di tutti i diversi attori della filiera, non agirà direttamente sulle problematiche strutturali che abbisognano di più tempo e di interventi sistematici per essere affrontate, ma genererà esempi positivi virtuosi che eviteranno – come è capitato sovente quest'anno – di vedere in vendita prodotti non idonei a soddisfare i consumatori mescolati a prodotti buoni anche perché, visti i prezzi, gran parte degli agricoltori ha perso fiducia nel fare qualità.

Il sollievo da ricercare nella qualità

Con prodotti di buona qualità, poi, si potranno davvero stimolare i consumi anziché perdere tempo con iniziative che, senza adeguata qualità dell'offerta, rischiano di essere controproducenti. Insomma, si genererà quell'effetto sollievo che ognuno di noi ha provato poco dopo aver preso un'aspirina con la febbre alta e che dura qualche ora. La malattia non è certo debellata, ma fa bene al morale. Degli antibiotici necessari a eliminare l'infezione abbiamo già parlato e disquisito (vedi esiti del sondaggio Italiafruit del 14-7-14), ora però serve abbassare la febbre, se no rischiamo di perdere il malato.

Serve anche parlare chiaro al malato sulla gravità della sua situazione; peraltro leggendo i commenti che esponenti del Movimento degli Agricoltori Trasversali hanno dedicato sui social network a quanto ho scritto su come intervenire in cinque mosse per risollevare la peschicoltura, pare un malato tutt'altro che rassegnato a dettare le ultime volontà (impugnare la motosega) e molto più incline a cercare una soluzione per il futuro. Per questo occorre rimanere nel campo della medicina, prospettando chiaramente lunghe e dolorose terapie curative e riabilitative, ed evitare di passare a facili rimedi che sembrano un misto fra propaganda e stregoneria a cui spero gli agricoltori non vogliano più dare credito. D'altra parte se è vero che, come diceva mio nonno, "se c'è appetito è già guarito", il paziente sembra davvero poter reagire alla cura.


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