Esportare la dolce vita: non è tutto oro quello che luccica

Per l’ortofrutta, come per altri punti di forza del made in Italy, tante opportunità ma (ancora) senza una regia

Esportare la dolce vita: non è tutto oro quello che luccica
I prodotti italiani continuano a rappresentare uno status symbol. Certo, le grandi firme e i marchi più famosi aiutano ma è il fascino esercitato dall'Italia e dal made in Italy, in generale, a fare da traino.

Tra i Paesi con le quote d'import in aumento più interessanti, si distinguono Emirati Arabi e Cina: è quanto emerge dallo studio "Esportare la Dolce vita" del Centro Studi di Confindustria e Prometeia, presentato recentemente ad Arezzo, che ha preso in esame le importazioni nei nuovi mercati fino al 2020.

"Lo studio - ha detto Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi - conferma le grandi potenzialità di crescita dei prodotti Belli e Ben Fatti (BBF) nei prossimi sei anni nei 30 Paesi emergenti più dinamici presi in considerazione".

Nel 2020 i nuovi ricchi saranno 655 milioni, 174 in più rispetto al 2014. La metà di questi abiterà nei principali centri urbani di Cina, India e Indonesia. Ma la classe benestante si sta ampliando anche in Paesi più vicini, come la Turchia. La Cina, in particolare, continua a essere un importante mercato di riferimento: tra le trenta nuove destinazioni prese in considerazione è quella che offre le maggiori prospettive di sviluppo alle imprese del BBF. Il suo Pil avrà, infatti, la più alta crescita in valore assoluto.

"Nel 2013 – ha ricordato Ivana Ciabatti di Confindustria - l'Italia è diventata il primo fornitore internazionale di BBF in Cina. Secondo l'indagine, svolta nel Paese asiatico assieme all'Istituto per il commercio estero (Ice), qualità, ampiezza di gamma, design, stile, innovazione e artigianalità sono i punti forti dei prodotti italiani e il made in Italy è il target di riferimento nelle tendenze di moda".

"In un contesto come quello attuale del nostro Paese, dove esportare è diventata una necessità e non più una scelta – ha aggiunto Ciabatti – le azioni messe in campo con la collaborazione di Ice e Ministero per lo Sviluppo economico (Mise), diventano di vitale importanza per le nostre imprese. Il mercato e le aziende hanno bisogno di essere aiutate sia tramite le riforme che aspettiamo da tantissimi anni, sia con i progetti che stiamo mettendo in atto".

Anche per le aziende più piccole e meno strutturate che vogliono esportare si sta lavorando sul Piano per l'Internazionalizzazione con delle specifiche linee d'intervento, quali: accordi di Libero scambio verso dazi zero, lo sviluppo del Piano Ordinario Ice 2016 (incoming fiere, B2B, ecc.), bando e avvio di una strategia di comunicazione istituzionale, l'avviamento di un programma formazione per esperti di export. E ancora: iniziative sui nuovi mercati di attacco (Mise), come per esempio il Giappone, collaborazione con il sistema fieristico settoriale e realizzazione della piattaforma unica di rete, iniziative in collaborazione con il sistema Fashion made in Italy e prosecuzione del Piano USA per la gioielleria.

Sì, perché non lo abbiamo specificato ma si stava parlando di gioielleria: un settore che nel 2020 varrà 3,7 dei 230 miliardi stimati come prodotti "Belli e Ben Fatti" importati dai mercati emergenti. Ad Arezzo Paolazzi e Ciabatti (che è presidente nazionale di Confindustria Federorafi) parlavano delle potenzialità sui mercati esteri dell'oreficeria italiana. Con problemi e argomentazioni che però potrebbero essere traslati al settore ortofrutticolo. E qui nasce il dubbio che certi documenti e progetti di promozione all'estero del made in Italy girino un po' su tutte le scrivanie - del Mipaaf, del Mise e dell'Ice - a prescindere che si parli di frutta e verdura, vino, alta moda, gioielli o macchine e macchinari. Vale a dire: maggiore organizzazione, un marchio unico distintivo e regia unica nazionale per affrontare i mercati esteri sono le parole chiave. Ma, anche se le intenzioni sono buone e i prodotti di elevata qualità, in Italia siamo ancora alla parte teorica. E se tutte le cifre diffuse a fine 2015 parlano di ripresa della nostra economia e di incremento dell'export, c'è da chiedersi cosa potrebbe accadere se ci fosse anche un minimo di concretezza in più. Oltre, appunto, alle belle parole.

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