Sharka del pesco, proposta italiana

Op, vivaisti e servizi fitosanitari stanno predisponendo un documento da inviare al Mipaaf

Sharka del pesco, proposta italiana
La sharka del pesco è un problema reale e soprattutto molto complesso che va portato all'attenzione del Ministero italiano delle Politiche Agricole (Mipaaf) ma anche della Commissione europea. Per questo motivo il Crpv-Centro Ricerche Produzione Vegetali e il Dipartimento di Produzione Vegetale dell'Università degli Studi di Milano hanno organizzato prima nel capoluogo lombardo (20 aprile) e poi a Cesena (22 aprile) il workshop internazionale "Fighting PPV (Sharka) in peach: state of the art and perspective". Un'iniziativa scientifica patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e realizzata con il contributo delle principali attività produttive e vivaistiche regionali - Apo Conerpo, Apofruit, Battistini Vivai, Centro Attività Vivaistiche, Civi Italia, Eur.op Fruit, Geoplant, Minguzzi, New Plant, Orogel Fresco, Pempacorer, Vitroplant, Granfrutta Zani, Vivai F.lli Zanzi.

"Con questo evento – ha detto il Prof. Daniele Bassi, ordinario del Dipartimento di Produzione Vegetale dell'Ateneo milanese – il mondo della ricerca vuole rispondere alle esigenze degli operatori. La lotta alla sharka del pesco, infatti, riguarda tutti: dagli agricoltori ai vivaisti, dai servizi fitosanitari ai ricercatori fino agli organi di governo. Per questo – ha sottolineato – ci poniamo l'ambizioso obiettivo di avanzare al Mipaaf una proposta italiana di ricerca che sarà firmata nei prossimi giorni dalle Organizzazioni di produttori e dalle aziende vivaistiche dell'Emilia-Romagna che hanno sponsorizzato il workshop, oltre che dai servizi fitosanitari di diverse regioni".

Nuovi ceppi virulenti di sharka sono in continua diffusione in tutto il mondo e, quindi, il rischio di incorrere in una situazione di emergenza fitosanitaria simile a quella della Xylella fastidiosa si fa sempre più elevato. "Se oggi ci sono Paesi produttori di drupacee dove questa virosi non è presente, è perché nessuno l'ha ancora cercata – ha riferito Vito Savino, Prof. del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell'Università di Bari – In Italia sono stati rilevati focolai in tutte le regioni e, purtroppo, negli ultimi anni la situazione è peggiorata anche perché la collaborazione degli agricoltori, per quanto riguarda la segnalazione di casi sospetti, è rimasta su livelli molto scarsi".

Anche i vivai giocano un ruolo fondamentale: secondo il Prof. Savino "non devono più essere localizzati in zone altamente contaminate" come invece continua ad avvenire in alcune aree della Puglia, solo per citare un esempio. "Per i vivaisti, ma anche per gli agenti e ispettori fitosanitari, servono corsi obbligatori di formazione e aggiornamento. La normativa vigente in Italia, poi, dovrebbe essere applicata realmente!".


Gli interventi per limitare la diffusione della virosi

"Oggi è indispensabile – ha posto l'accento Savino – realizzare un programma operativo di interventi coordinati a livello nazionale che consenta di creare delle mappe geo-referenziate delle aree indenni da focolai, obbligare i costitutori a valutare la suscettibilità delle nuove cultivar e formulare un protocollo validato per il monitoraggio e la caratterizzazione dei ceppi".

Alessandro Liverani, direttore del Crea-Frf di Forlì, ha invece confermato che il breeding tradizionale avrà bisogno ancora di molto tempo per riuscire a sviluppare nuove selezioni di pesche con caratteristiche commerciali resistenti a sharka. "Per le future sperimentazioni da svolgere in Italia – ha spiegato – sarebbe fondamentale operare direttamente in aree endemiche, anche se queste sono state identificate attraverso test molto severi quali, ad esempio, l'innesto su portainnesti infetti. Nelle zone dove la virosi è endemica – ha proseguito - l'uso di materiale tollerante potrebbe essere una valida alternativa".


Alcune varietà tolleranti


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Per Ignazio Verde, ricercatore del Crea-Fru di Roma, la strategia di ricerca più veloce ed efficace per produrre varietà resistenti passa attraverso le nuove tecniche di ingegneria genetica. A questo proposito il Prof. Bruno Mezzetti, direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell'Università Politecnica delle Marche, ritiene che l'Unione europea debba rivedere la normativa in materia di organismi geneticamente modificati (Ogm) affinché la ricerca europea possa non perdere ulteriore terreno nei confronti degli Stati Uniti. "In Italia - ha sottolineato Mezzetti - abbiamo bisogno di campi sperimentali".


Le strategie indicate da Ignazio Verde, ricercatore del Crea di Roma

Nella foto di apertura: Daniele Bassi, Bruno Mezzetti, Ignazio Verde, Vito Savino e Alessandro Liverani.

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