Più prodotti locali nei negozi, la norma fa discutere

Perplessità e critiche di piccola e grande distribuzione per il decreto all'esame dei Ministri

Più prodotti locali nei negozi, la norma fa discutere
Fa discutere il decreto legislativo che lascia ai sindaci la discrezionalità di "vincolare" gli assortimenti dei punti vendita, in determinate zone delle città, privilegiando i prodotti locali e assegnando loro una quota minima dell'offerta alimentare destinata a cittadini e turisti. 

Approdato in Consiglio dei Ministri, nonostante il parere contrario della commissione Affari Costituzionali del Senato, stabilisce, all'articolo 1 comma 3 della Scia (segnalazione certificata di inizio attività) che il Comune, d’intesa con la Regione, può individuare, con apposite deliberazioni, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico e artistico in cui determinare una quota di prodotti locali da dover esporre per la vendita al pubblico.

Nei giorni scorsi il Corriere della Sera ha riportato le reazioni negative di Federdistribuzione (il cui presidente Giovanni Cobolli Gigli parla di "discrezionalità inaudita ai sindaci di porre vincoli alle attività economiche"); ora  interviene sull'argomento anche la presidente dei dettaglianti Fida-ConfcommercioDonatella Prampolini Manzini che esprime "molte perplessità circa la liceità di tale indirizzo".

"Fermo restando che la valorizzazione dei prodotti locali, in particolar modo quelli ortofrutticoli, è sempre stata molto cara al mondo dei dettaglianti - spiega Prampolini Manzini - non vorremmo vedere in un indirizzo di questo genere l'ennesima volontà di forzare la mano sui prodotti a km zero a vantaggio degli agricoltori". E aggiunge: "Se la norma prevederà una sorta di indicazione non vincolante, ci faremo parte attiva nel cercare di sensibilizzare gli associati a dare sempre più spazio alle produzioni locali che difficilmente ne trovano nelle grandi strutture di vendita; ma non accetteremo un obbligo che creerebbe inevitabilmente una forzatura degli assortimenti, in particolar modo negli esercizi specializzati che hanno fatto della profondità assortimentale il proprio cavallo di battaglia».
 
"Ci siamo impegnati in passato –aggiunge la presidente Fida - e continueremo a farlo in attesa dei decreti attuativi, affinché il buon senso non permetta di inserire ulteriori turbative in un settore che vede già parecchie storture, soprattutto in tema di vendite dirette".

Questo "schema" che privilegia il locale al globale  è in realtà già attivo in due città, Padova e Firenze: nel capoluogo toscano, da circa un anno, chi vuole aprire una bottega alimentare in centro storico deve esporre per il 70% prodotti toscani Doc, mentre nella città del Santo la quota è attestata al 60% nell'ottica di "preservare la tradizione culinaria veneta". 

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